Maria, l’immacolata: vergine per essere madre
Il Concilio intendeva dirci questo: Maria è così intrecciata nel grande mistero della Chiesa che lei e la Chiesa sono inseparabili come sono inseparabili lei e Cristo. Maria rispecchia la Chiesa, la anticipa nella sua persona e, in tutte le turbolenze che affliggono la Chiesa sofferente e faticante, ne rimane sempre la stella della salvezza». (Benedetto XVI, 8 dicembre 2005 nel 40° della conclusione del Concilio)
Accostiamoci alla bellezza dell’Immacolata in un mondo in cui sembra che la castità verginale sia messa al bando, in cui si parla senza pudore o dolore di aborto, di fecondazione in vitro, di uso del corpo come merce. In questo mondo il segno della verginità immacolata di Maria è come il sorriso di Dio, l’icona della bellezza possibile, la vera riuscita di un essere umano; in lei umiltà di ragione, purità di corpo, povertà di cuore, e verginità di spirito traspaiono facendola risplendere come la stella della speranza; la Vergine precede e profetizza la Madre, così verginità e maternità non sono in opposizione ma l’una è la condizione dell’altra, madre perché vergine e vergine per esser madre.
Accostiamoci per questo alle letture di questa domenica che la Chiesa italiana vuole siano quelle dell’Immacolata.
Nella prima lettura abbiamo parte del racconto del peccato delle origini. Dio ha benedetto l’uomo dandogli in dono i frutti della terra, poi il primo comando, poi facendo per lui un aiuto a lui simile: qui per la prima volta Dio lo chiama; chiama l’uomo a uscire dal suo nascondimento e a presentarsi alla sua presenza. Qual è la condizione dell’uomo dopo il peccato? Paura, nudità, vergogna del proprio corpo, dissidio interiore tra corpo e anima e dissidio nella coppia, fuga dalla presenza, nascondimento, accusa all’altro. Dal giardino dove tutto era dono si ritrova nella terra dove tutto è minaccia o accusa. Questa la condizione dei progenitori da cui provengono tutti i viventi. Non è anche la descrizione del malessere della nostra civiltà?
Il Vangelo presenta una seconda chiamata: non Dio direttamente ma un angelo (in Genesi era l’angelo malvagio in veste di serpente) si rivolge all’essere umano come a un interlocutore e interpella la sua libertà. Porta un annuncio. L’angelo del male aveva portato un dubbio, un sospetto e infine la menzogna. Questo porta la buona notizia, l’annuncio della futura nascita di Uno che è figlio di questa fanciulla e di Dio. L’annuncio di un pezzo di terra umana libera dal serpente, dalla maledizione, dalla vergogna, dal nascondimento, dalla nudità, dalla paura. Un brano di terra innocente dove nasce il Figlio dell’uomo e Figlio di Dio.
Nella seconda lettura possiamo leggere nelle parole di Paolo agli Efesini la carta d’identità della chiesa: benedetti, prescelti, predestinati, eletti, eredi, infine eredi di cosa? Di quel mondo pulito, di quell’umanità innocente, della bellezza originaria, dello splendore della verità e della purezza, pure noi miseri ma santi e immacolati, non per propria purità, ma per pura gratuita misericordia, i miseri gratificati.
Chi è Maria? L’icona dell’umanità redenta che ha ritrovato la libertà di rispondere SÌ all’annuncio dell’Angelo e ha riaperto la strada del Paradiso ad Adamo in esilio. Dalla maledizione alla benedizione, dall’inimicizia alla pace, dalla paura alla fede, dal nascondimento alla presenza, dall’accusa reciproca alla complementarietà feconda, dall’inganno alla verità, dalla solitudine dell’esilio all’esperienza della chiesa: l’umanità si riconosce redenta dal «sì» di Maria, e rivestita dell’umanità del Figlio nel quale era stata dall’inizio creata.