«Dio, pietà»: l’invocazione del pubblicano pentito
Disse Gesù questa parabola per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri. Gesù, per smascherare questa presunzione, «fotografa» due uomini che salgono al tempio a pregare. Uno è fariseo: molto apprezzato dagli uomini, che però disprezza gli altri. L’altro è pubblicano, un esattore delle tasse, che, già soltanto per il mestiere che fa, è molto disprezzato, ma non disprezza nessuno. Al termine della parabola, a questi due personaggi si aggiunge un terzo: Dio, con il suo giudizio di condanna o di salvezza.
Dunque, due uomini salirono al tempio… Osserviamo il fariseo: come si pone davanti a Dio; davanti agli altri; davanti a se stesso. Davanti a Dio è convinto di essere un giusto, perché è perfetto osservante della legge.
Notiamo la posizione del fariseo: sta in piedi, ritto davanti al Signore; si sente alla pari. Ascoltiamo la sua preghiera, che preghiera non è, ma un parlare a se stesso. Appena si rivolge a Dio («Dio ti ringrazio…»), subito si dimentica di Lui per confrontarsi con gli altri; un confronto nel quale esce vittoriosamente superiore. Gli altri?! Sono tutti ladri, ingiusti, adulteri! Per mio merito, io non sono come loro! E tanto meno come questo pubblicano, che dovrebbe vergognarsi anche solo di entrare nel tempio! E dopo aver detto male degli altri (peccato gravissimo), passa alla lode di se stesso: Io sono diverso, io appartengo a un’altra categoria; io digiuno due volte alla settimana; io pago le decime… Il fariseo fa molto più di quanto la legge di Dio richieda. Ma le sue opere buone sono sciupate dallo spirito con cui le compie; è intriso di orgoglio ed è convinto che siano le sue opere a salvarlo. E così non si sente bisognoso di salvezza. E non è salvato.
Osserviamo ora il pubblicano. La sua posizione, la sua preghiera. Al contrario di quella del fariseo – liquidata con due parole: «stava in piedi» -, la posizione del pubblicano è descritta con più frasi. Si è fermato a distanza; è cosciente del suo stato di peccatore. Non osa nemmeno alzare gli occhi, tanta è la vergogna che ha di se stesso, tanta è la consapevolezza di essere peccatore. Si sente così immeritevole di stare davanti a Dio, che il suo sguardo è inchiodato a terra. Si batte il petto: accusa se stesso; si scusa; non accusa gli altri. Accusa se stesso in atteggiamento umile di contrizione.
Al contrario di quella del fariseo, la sua preghiera è brevissima; consiste in una sola frase, che non si stanca di ripetere: «Dio abbi pietà di me peccatore!» Non sa dire altro. È una implorazione: Dio, pietà! È una confessione: sono un peccatore! Sa di non vantare alcun merito e si affida unicamente alla misericordia di Dio. Dinanzi alla Luce si riconosce la tenebra; dinanzi alla Santità si sente peccato. Ne avverte tutta la gravità e però sa che Dio è capace di perdonare anche lui! Da qui la sua preghiera umile, insistente, fiduciosa. E il povero pubblicano peccatore, dagli uomini squalificato, è da Dio perdonato.
Così, infatti, conclude Gesù: «Io vi dico: il pubblicano tornò a casa sua giustificato, mentre il fariseo no!» Riflettiamo: come è diverso il giudizio di Dio! Quanto è opposto al nostro! Come è allergico Gesù al perbensimo ipocrita! A che cosa guardiamo noi? A che cosa guarda Dio?
*Sacerdote cappuccino