Gioire nella povertà, come San Francesco
Ascoltiamo in questa domenica la parabola detta del ricco epulone e del povero Lazzaro. Ancora una volta è affrontato il rapporto del discepolo di Gesù nei confronti della ricchezza. E sono messi in evidenza i due rischi e pericoli che la ricchezza può causare. Primo: pensare unicamente a questa vita presente; chiusi nell’orizzonte di questa terra. Secondo: pensare unicamente a se stessi, a godersi la vita, chiusi nel proprio io ed egoismo.
A questo proposito Gesù dice questa parabola, che si può dividere in due scene. La prima si svolge nella vita di qua; la seconda nell’aldilà. Abbiamo due attori, fra loro contrapposti. Uno è il ricco, che viene subito decifrato: veste di porpora e bisso, banchetta lautamente. Si gode la vita. L’altro è un povero, di nome Lazzaro (è l’unica parabola in cui l’attore è chiamato per nome). Giace alla porta della sala del ricco. Ognbi giorno lo abbandonano lì. È rivestito di piaghe che nessuno cura, anzi, i cani lo molestano. È affamato, ma non può nutrirsi neanche dei pezzetti di pane che cadono sotto la tavola. Condizione più miserevole non si può.
A un dato momento della vita, tutti e due muoiono; già, perché anche i ricchi muoiono. La morte è una livella. Muore prima il povero, di stenti. Ma poi muore anche il ricco. E fu sepolto, nota san Luca. Forse a sottolineare un bel funerale, con l’aggiunta di battimani. A questo punto cala il sipario su questo mondo e si apre sull’aldilà. E qui le cose si capovolgono. La situazione cambia radicalmente. Il povero ora è in alto, nel seno di Abramo, felice. Il ricco è in basso, sprofondato nell’inferno. Stando all’inferno tra i tormnenti, alza gli occhi e vede Abramo e Lazzaro accanto a lui. Gridando lo supplica perché lo mandi ad intingere nell’acqua la punta del dito per bagnargli la lingua. Ma a lui, che ha negato una briciola, ora viene negata una goccia. E ormai non c’è più alcuna comunicazione fra i due mondi; una barriera insormontabile li separa definitivamente, per sempre. Il ricco allora prega Abramo perché mandi Lazzaro dai suoi cinque fratelli, che stanno conducendo una vita spensierata, affinché si ravvedano e si convertano e non vengano anche loro in quel luogo di tormenti. Vedendo un morto che ritorna dall’altra vita, crederanno… Ma giustamente Abramo osserva: Hanno Mosè e i profeti, che attestano la verità e realtà della vita d’oltretomba; se non credono a loro, non crederanno nemmeno a un morto tornato alla vita. E così cala il sipario; con questa definitiva condanna.
Non si può in maniera più forte e più incisiva mettere in risalto come l’attaccamento alla ricchezza ostacola l’ingresso nel regno di Dio. Gesù dirà in maniera anco più paradossale: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli. L’avidità della ricchezza è la radice dell’iniquità. Assorbe mente e cuore, energie e tempo. Uno attaccato al denaro altgro non vede, altro non vuole, altro non sente. Non ha altri interessi. Non cerca più le cose di lassù. IL suo orizzonte si chiude sulla terra e lì muore.
San Francesco d’Assisi, dal giorno della conversione, restituiti gli stessi vestiti al padre, si sentì libero e da quel giorno visse in letizia la più assoluta povertà. Vivendo di lavoro e di elemosina, quando non veniva retribuito del lavoro compiuto. Un solo fioretto: con frate Masseo va alla cerca. Frà Masseo è un bel frate e gli danno dei pani interi; Francesco è piccolino e gli vengono dati dei bocconi. Si ritrovano insieme e ciascuno tira fuori dalla bisaccia quanto ha ricevuto in elemosina. Francesco grida di gioia: Oh quanta grazia di Dio, quanta ricchezza! Masseo non sa vedere. Francesco allora: Ma non vedi quest’ombra che ci ripara? Questa sorgente che ci disseta? Questa pietra che ci fa da tavola? Quante cose ci ha preparate il Signore! E così sapeva godere di ogni più piccola cosa, che accoglieva come dono di Dio.
*Sacerdote cappuccino