Fatevi tesori nel cielo
La pericope di questa domenica raggruppa vari insegnamenti, tenuti insieme da un filo d’oro che si può racchiudere nel comando: Fatevi dei tesori nel cielo. Gesù assicura il suo piccolo gregge (così sarà sempre la Chiesa) dicendo: non temere! Al Padre vostro è piaciuto darvi il suo regno. Basta questa promessa grandiosa per farci camminare nella speranza della gioia senza fine, che ci attende nei cieli. Il Padre ci ha promesso in dono il suo regno. Dinanzi a tale prospettiva le cose materiali diventano veramente mezzi, che devono farci guadagnare dei tesori nel cielo. Come? Gesù dice: Vendete ciò che avete e datelo in elemosina. Sappiamo che non a tutti è chiesto di lasciare tutto; ciascuno, però, è tenuto a condividere i propri beni con chi è nel bisogno. Nella consapevolezza che fare l’elemosina è arricchire presso Dio. E’ accendere un credito alla banca di Dio. E’ assicurare un tesoro inviolabile. I tesori di questa terra sono minacciati dai ladri e dalla tignola. Dice Gesù: non così quelli del cielo! Ciò che è dato in elemosina è messo al sicuro. Gesù aggiunge una massima inequivocabile: dove è il tuo tesoro, lì è anche il tuo cuore. E dunque: non attaccare il cuore alle cose di questa terra; attacca il cuore alle realtà del cielo, «alle cose di lassù», dice san Paolo. È, questa, una massima che determina tutta una concezione della vita: vissuta per le cose di quaggiù, oppure vissuta per quelle di lassù, quelle dello spirito.
Gesù passa, poi, a raccomandare di essere pronti, per quando arriverà il padrone, di ritorno dalle nozze. Può capitare a qualunque ora: nottetempo, di prima mattina; può ritardare; beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà pronti ad aprirgli, ad accoglierlo. Addirittura si siederà alla loro tavola e si metterà a servirli. «Se uno mi apre – dice Gesù nell’Apocalisse – io entrerò e cenerò con lui». Beati quei servi. Si fanno trovare pronti, con le lampade accese, i fianchi rialzati, in tenuta da lavoro. Pronti, cioè vigilanti, operosi. Nella febbrile attesa di un sicuro ritorno, di un incontro aspettato.
Alla richiesta di Pietro, Gesù prosegue il discorso con la parabola dell’amministratore. Uno può essere infedele, specie se il padrone ritarda e incomincia a percuotere i servi e a mangiare, bere e ubriacarsi. Disgraziato! Gli sarà assegnato con rigore il posto fra gl’infedeli. Beato, invece, quel servo fidato e fedele, che il padrone troverà al suo lavoro. In verità, io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Il messaggio è chiaro: Dio ci ha affidato dei beni; non deludiamo la sua fiducia! Beni immeritati, gratuiti. Di cui siamo amministratori. A noi è richiesta la fedeltà al dovere. La responsabilità di saperli usare-distribuire a tempo debito. Il messaggio è quanto mai chiaro: comprendiamo la serietà del tempo che ci è donato e dei giorni di vita operosamente attivi. Che ci preparano all’incontro finale con Dio, amato, atteso, benedetto nei secoli.
*Sacerdote cappuccino