Pane e vino diventano corpo e sangue di Cristo
Celebriamo la solennità dell’amore di Gesù, rimasto in mezzo a noi per sempre. Il Vangelo secondo Luca ci narra la moltiplicazione dei pani. Lo stesso episodio lo narra l’evangelista Giovanni, chiamandolo «segno», perché rimanda ad una realtà che trascende il momento storico. Di fatti Gesù, il giorno dopo, nella sinagoga di Cafarnao spiegò il significato del suo gesto e manifestò che il vero, autentico pane era lui, pane disceso dal cielo, pane vivo, pane di Dio, che dà la vita eterna. Prometteva quanto poi compì nell’ultima cena. La solennità di questa domenica ci riporta proprio a quell’ultima sera e a quanto Gesù portò a compimento. Gesù cambia il pane e il vino nel suo corpo e nel suo sangue. Poi comanda (un comando categorico, esplicito, formale): «Fate questo segno (ponete questo zikaròm), memoriale di me». Lo zikaròm è un segno che avvera la presenza. Con questo preciso comando, Gesù trasmette agli apostoli e ai loro successori la potestà di fare quello che ha fatto lui stesso; li abilita, li autorizza a ri-presentare il suo gesto e le sue parole.
La santa Messa non rinnova quanto Gesù ha compiuto; non ripete; quello è avvenuto una volta per tutte, una volta per sempre. Si tratta di un unico gesto di Gesù, che si perenna nella storia, tramite il celebrante, che «in persona Christi capitis», consacra. E per la potenza dello Spirito Santo quelle parole santificano il pane e il vino, che diventano il corpo e sangue del Signore Gesù. Mistero della fede! Certo. E la Chiesa ne è tanto cosciente, che non ha timore di proclamarlo, appena subito dopo l’elevazione. Mistero della fede: non si crede all’evidenza, ma sulla parola del Signore, ritenuta vera. I sensi, infatti, non aiutano, anzi, semmai ingannano; dopo la consacrazione, apparentemente non è cambiato nulla: la forma, il colore, l’odore, il peso sono gli stessi. Che cosa, dunque, è cambiato? La realtà! La realtà è cambiata, perché ora nel segno dell’Ostia consacrata c’è Gesù vivo, vero, realmente presente in corpo, sangue, anima e divinità.
Solennità bellissima, dunque, questa, che ci chiama a contemplare l’Amore di Gesù per noi. Amore così annientato; sulla croce era nascosta la sua divinità, nell’eucaristia è nascosta anche l’umanità. Ogni santa Messa ci chiama a celebrare e a partecipare. Cogliamo la forza di questi verbi: celebrare comporta ri-presentare, rendere presente. Noi non c’eravamo allora, ma ci siamo ora. E ora, qui, per noi, Gesù torna presente, sull’altare, nelle mani del sacerdote. Partecipare comporta molto di più: prendere parte attenta, attiva, devota…comporta ri-vivere. Siamo noi, ora, i fortunati apostoli, ai quali Gesù dice: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo». Se entriamo in quest’ottica di fede, possiamo comprendere la bellezza della santa Messa. Non è un dovere, quasi un peso da scaricare. È, invece, un appuntamento bello, importante col Signore. Se lo amiamo, veniamo a questo incontro. Quando si ama una persona si fa di tutto per venire al suo appuntamento; ci si organizza; si fa un sacrificio; si va, sennò ci rimane male. Tanto più ci ama, tanto più le dispiace se manchiamo.
Il Signore ci ama divinamente e ci attende, a braccia aperte. Ricordiamo i 49 martiri di Abitène. Sorpresi a celebrare, furono processati; fu loro imposto di mai più radunarsi per la santa Messa. Essi, tutti, in coro, risposero: «Non possumus». Non possiamo!… Noi non possiamo vivere senza la Messa, senza riunirci insieme a pregare, ad ascoltare la Parola di Dio, a fare la comunione, nel giorno del Signore. E furono tutti uccisi. Martiri dell’Eucaristia.
*Sacerdote cappuccino