Per capire l’Eucarestia serve lo Spirito

Con il vangelo di oggi (Gv 6,60-69) arriva a conclusione questa specie di approfondimento monografico sul pane di vita, una conclusione per certi versi amara perché sancisce la fine del cammino con Gesù da parte di alcuni dei discepoli. Non sembra sia cambiato niente dall’ inizio del discorso, quando Gesù aveva mostrato dubbi sulla comprensione del segno compiuto moltiplicando i pani da parte dei discepoli (cf. Gv 6,26), tranne il fatto che adesso l’ambiguità è cessata, l’incomprensione si manifesta chiaramente con la loro defezione. È anche singolare il fatto che Gesù ribadisca (richiamando il discorso a Nicodemo- cf. Gv 3,6-) l’inutilità della carne per la comprensione del suo mistero, affermazione che suona quasi dissonante con l’invito a cibarsi della sua carne fatta poco prima. Potremo cavarcela abbastanza facilmente affermando che qui si tratta dell’utilizzo di uno stesso termine con diverso significato, ma c’è anche un’altra affermazione alquanto sconcertante: il fatto che vedere Cristo salire al cielo potrebbe essere un’aggravante dello scandalo suscitato dalle sue parole, dure da accogliere secondo i discepoli.

A prima vista una tale esperienza dovrebbe facilitare l’affidamento a Cristo, essere una prova della sua veracità; in realtà anche un segno così grande, come pure lo stesso dono del pane di vita, rimane incomprensibile senza una parola che lo riveli. Tutto questo potrebbe riecheggiare le parole di Abramo al ricco, nella parabola di Lazzaro, per cui «se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi» (Lc 16,31). Vi è una dialettica tra parola e segni, la stessa che vivranno anche i primi discepoli con «il Signore che operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano» (Mc 16,20).

Il mistero pasquale di Cristo, del quale l’eucarestia è viva memoria, necessita di una esegesi che solo lo Spirito può compiere, altrimenti lo stesso sacramento può scadere in puro rito o, peggio ancora, in un atto magico. Per questo una stessa parola può essere dura da accogliere, come quella di oggi nella seconda lettura (Ef 5,21-32),che può provocare il rifiuto, come per altri insegnamenti di Cristo (uno per tutti «se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi» -Mt 19,10-) o, viceversa, essere liberante perché porta al ritrovamento di un senso più autentico, una comunione che faccia uscire dalla gabbia del proprio ego. Ma è sempre centrale l’esperienza dello Spirito mancando la quale queste cose sono pura follia (cf. 1Cor 2,14).

*Cappellano del carcere di Prato