La fede è apertura al futuro
La liturgia di questa domenica mette in luce uno degli atteggiamenti più tipici dell’uomo di ogni tempo, ovvero quello dell’idealizzazione del passato. Ricordo che, da bambino, quando in TV non c’erano le centinaia di canali di oggi e quindi la trasmissione da seguire, un festival o altri spettacoli, era la stessa per tutti, il commento ricorrente e invariabile nelle famiglie o fra amici era che «l’anno scorso era meglio». Non per banalizzare, ma anche nel brano di oggi (Gv 6,24-35), dopo l’esperienza della moltiplicazione di pani, la richiesta dei presenti è quella di un segno all’altezza del dono della manna data i padri, come se quello compiuto da Cristo non fosse che una pallida imitazione di quello. Ma al tempo dei padri le cose non andavano diversamente: anche in quel caso il popolo agiva pensando che in fondo «si stava meglio quando si stava peggio», idealizzando lo stato di schiavitù come il paese di cuccagna o un villaggio vacanze (Es 16,2-15; 1a lettura), e poi disprezzando il dono del pane del cielo perché nauseante e ripetitivo (cf. Num 21,5), come un qualsiasi rancio da caserma o penitenziario.
L’idealizzazione del passato è un ostacolo non da poco per la vita dell’uomo perché porta a falsare la prospettiva e toglie orizzonte al presente e al futuro. A livello politico e anche religioso la fissazione sul passato porta a chiudere gli occhi sul presente, non permette di interpretare i fatti ed elaborare percorsi; i sogni revanscisti di quello o quell’altro stato hanno portato nei secoli a guerre e distruzioni immani, l’idealizzazione delle proprie radici a non comprendere i cambiamenti del presente. Anche le rimpatriate degli amici di infanzia sono spesso deludenti perché semplicemente il tempo è passato e quelle persone non sono più le stesse.
La memoria è senza dubbio un grande dono, anche a livello spirituale, la Bibbia stessa mette in guardia dal rischio di dimenticare, ma perché si possa vedere il cammino che il Signore ci ha fatto percorrere (cf. Dt 8,2). Del resto esiste anche una dimenticanza meritoria (cf. Fil 3,13), se questa ci impedisse di esser protesi verso il futuro. La stessa fede in Gesù Cristo è una realtà dinamica: credere è un opera, non un concetto, è conformare la nostra vita al suo progetto, al cammino da lui aperto venendo dal Padre e compiuto con il ritorno a Lui. In questo senso la fede è questa apertura al futuro di Dio, e la stessa eucarestia che celebriamo è una finestra aperta sul mondo futuro, è sì memoria, ma celebrata nell’ attesa del suo ritorno.
*Cappellano del carcere di Prato