Il peccato del mondo, la benevolenza di Dio
In questa quarta domenica di Quaresima potremmo iniziare una riflessione sulla liturgia della Parola a partire dal salmo responsoriale, quel salmo 136 che ha ispirato, fra l’altro, il celebre brano di Verdi «Va’ pensiero», lamento sulla condizione degli esuli che ricordano la patria lontana e che tanto successo ha avuto in epoca risorgimentale, e non solo, per dare voce al sentimento patriottico.
L’ oppressione è reale, come pure l’anelito alla libertà e al ritorno a casa ma, a differenza della schiavitù in Egitto, la Bibbia presenta la situazione di esilio in Babilonia come la conseguenza di una rottura dell’alleanza con Dio, di una reiterata incuranza dei suoi ammonimenti e della chiusura all’ascolto dei suoi messaggeri (2Cr 36,14-23; 1a lettura). Da questo punto di vista il popolo non vive certo una condizione di innocenza ma è causa del proprio male. Ancor più incredibile è il fatto che questa amara esperienza sia una sorta di cura che Dio dispone con svolgimento e scadenze precise fino al suo compimento, un ritorno alla normalità ma che lascerà nel popolo alcune profonde cicatrici (nonostante a volte sia presentato dalla stessa Scrittura come un nuovo esodo) e soprattutto non sarà opera di un nuovo Mosè ma di un conquistatore che, anche se inconsapevolmente, compie il disegno stabilito da Dio. In questo senso potremmo dire, citando Paolo , che nessuno può vantarsi di nulla (Ef 2,4-10; 2a lettura), solo Dio rimane sovranamente libero nel suo agire secondo la sua misericordia.
Un tema simile possiamo trovarlo anche nel Vangelo (Gv 3,14-21): l’immagine del Cristo innalzato che salva dalla morte, come già avvenuto con il serpente di bronzo ai tempi di Mosè (cf. Nm 21,4-9), coniuga in se stessa i due aspetti, positivo e negativo, della benevolenza di Dio e del peccato del mondo. Il serpente di bronzo guariva dai morsi dei serpenti che Dio aveva inviato come punizione della mormorazione e della sfiducia del popolo nei suoi confronti, perciò anche in quel caso il danno non era prodotto da un nemico esterno ma interno alla comunità, causato dal lamento continuo e la cecità riguardo alle opere compiute da Dio.
Un messaggio di questa liturgia domenicale, allora, potrebbe essere quello di prendere le distanza dal proiettare sempre al di fuori di sé le responsabilità dei problemi personali o sociali che incontriamo, la ricerca di ricette drastiche o di capri espiatori senza mettere mai in questione se stessi, la mancanza di spazi di riflessione autentica e di ricerca per accontentarsi di spiegazioni precostituite e luoghi comuni. Il fatto che la Bibbia non tema di presentare come funzionale al disegno di Dio un pagano come Ciro può aiutarci anche ad avere uno sguardo a più ampio raggio sulle dinamiche del mondo in cui viviamo. Varie volte, nella storia della Chiesa, momenti che sembravano distruttivi sono stati provvidenziali, riconosciuti tali magari dopo molto tempo, come nel caso della perdita del potere temporale che l’ha liberata da pastoie deleterie per l’autenticità del proprio annuncio, mentre altri momenti che sembravano provvidenziali si sono rivelati gravidi di conseguenze funeste.
Un atteggiamento penitenziale, che non significa impelagarsi in gesti o atteggiamenti bizzarri ma che nasce dall’umiltà di guardare se stessi, il mondo, a partire dal Vangelo e dalle sue esigenze, è un dono che possiamo invocare da Dio in questa domenica.
*Cappellano del carcere di Prato