Tempo di Natale. La risposta al buio è un bambino che nasce
Lunedì 25 dicembre – NATALE DEL SIGNORE. «Oggi e nato per voi il Salvatore». Domenica 31 dicembre – SANTA FAMIGLIA DI GESU, GIUSEPPE E MARIA. «Il bambino cresceva pieno di sapienza». Lunedì 1 gennaio – MARIA SANTISSIMA MADRE DI DIO. «I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il bambino». Sabato 6 gennaio – EPIFANIA DEL SIGNORE. «Siamo venuti dall’oriente per adorare il re». Domenica 7 gennaio – BATTESIMO DEL SIGNORE. «Tu sei il figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento»
Tra i temi che ricorrono nel ciclo delle letture festive del tempo di Natale e che contribuiscono a dare il senso dell’unitarietà del cammino della liturgia e della sua armonia, ve ne sono due sui quali potremmo soffermarci a riflettere, e ritrovare come sfondo un po’ in tutte le celebrazioni di questo periodo.
Il primo ha una colorazione piuttosto oscura, drammatica, un alone di morte che fa da sfondo all’annuncio natalizio, che cozza contro l’aspetto folcloristico di regali e zampogne che continua ad essere preminente nel vissuto quotidiano, forse appena temperato dalle difficoltà e dalle paure presenti nella società di oggi. Un alone drammatico che ritroviamo in alcune famose icone orientali della Natività, dove il bambino Gesù è posto dentro una grotta oscura, in una mangiatoia che ricorda un sarcofago e strettamente avvolto in teli come in una sindone.
Del resto il collegamento fra la venuta di Cristo e la Passione che dovrà affrontare è esplicitamente espresso dal discorso del vecchio Simeone al momento della presentazione al tempio, con il richiamo alla spada che trafiggerà l’anima di Maria, mentre la stessa vita dei due anziani, Simeone e Anna, è segnata dalla decrepitezza, da una morte imminente solo addolcita dal fatto che nel bimbo che tengono fra le braccia splende una luce che illumina le genti e permette di andare in pace perché i loro occhi hanno contemplato la salvezza per tutti i popoli (Lc 2,22-40; Festa della Santa Famiglia).
Questo aspetto drammatico, sempre in bilico sull’orlo della catastrofe, lo si ritrova nell’esperienza di Abramo che vede scivolare via il tempo a sua disposizione senza una discendenza (Gn 15,1-6; 1ª lettura della Festa della Santa Famiglia) e che dovrà confrontarsi con quella che ritiene una richiesta radicale da parte di Dio, il dono del figlio, di fronte alla quale dovrà attingere alla sua fede come unica risorsa (Eb 12,17-19; 2ª lettura della Festa della Santa Famiglia).
Anche il contesto generale è segnato da questa incertezza, il popolo cammina nelle tenebre, è oppresso da un giogo e dal bastone dell’aguzzino (Is 9,1-6; 1ª lettura della Notte di Natale), la città vive l’esperienza dell’abbandono, dell’anelito a una consolazione attesa e forse insperata (Is 62,11-12; 1ª lettura della Messa dell’Aurora di Natale).
Certo queste considerazioni impallidiscono di fronte all’annuncio che ribalta questa situazione: una luce risplende su di noi (Is 60, 1-6; 1ª lettura dell’Epifania) come già sui pastori (Lc 2,1-14; Notte di Natale), porta la consolazione al popolo in attesa, la salvezza, la redenzione (Is 52, 7-10; 1ª lettura del Giorno di Natale), il Verbo fatto uomo irradia su noi la gloria di Dio come luce che brilla nelle tenebre, ma tutto non è così scontato: le tenebre non l’hanno accolta (Gv 1,1-18; Giorno di Natale).
Questa dialettica rimane quindi come sfondo nell’annuncio del Natale, non si tratta di un problema risolto una volta per sempre, anche perché si collega ad un altro punto centrale di questo tempo liturgico, ovvero il fatto che la salvezza abbia il volto di un bambino, tema molto caro a tutti, ripreso dai tanti simboli che vediamo intorno a noi in questi giorni. Ciò che, in generale, può colpire è la sproporzione fra il contesto cui abbiamo fatto cenno e la risposta di Dio: «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9,5) e questo è senz’altro un lieto annunzio, come in genere quando viene al mondo un fanciullo, ma conosciamo anche la debolezza che caratterizza la vita dell’uomo ai suoi inizi: in un bimbo c’è un mondo di promesse, di progetti, ma anche di fatica da fare per portare a maturazione almeno qualcuno di questi.
È un segno che può provocare ancora una volta delusione: l’intervento risolutivo di Dio è perlomeno rimandato fin quando questo bambino non sarà capace «di scegliere il bene» (cf Is. 7,15). In realtà per chi ha occhi questo segno è fonte di gioia, per il povero che non vede aperture intorno a sé il bimbo è uno spazio di cielo che si apre, come per i pastori di Betlemme, ma pure una minaccia mortale per i propri assetti, come Erode. È un segno facilmente cancellabile, un segno debole, che non si impone e che perciò è facile non accogliere. È comunque un mistero da serbare nel cuore per poterlo comprendere (cf. Lc 2,16-21; Maria madre di Dio); il bambino, come già accaduto per Giovanni, dà a pensare: «che sarà mai questo bambino?» (Lc 1,66), è una realtà per certi versi disagevole perché destabilizza, chiede di uscire da sé, di farsi carico di una storia da decifrare e valorizzare e della quale prendersi cura, come Gesù, ormai adulto dirà: «chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me» (Mt 18,5), questo perché è la stessa dinamica che Dio realizza in Cristo, affidato come bimbo alle mani dell’uomo.
Allora di fronte a noi, da tutto questo tempo liturgico, emergono questi due quadri: una situazione drammatica, instabile, che necessita salvezza e la risposta di Dio incarnata in un bambino, una risposta che richiede a sua volta una risposta, la nostra. Cosa fare di questo segno che arriva in questo mondo di oscurità? Come porsi in sintonia con l’azione di Dio che sceglie questa strada, all’apparenza così debole e fragile, della vita di un bimbo? Per Giuseppe consisterà nel prendere con sé Maria e il figlio, nel farsene carico prendendo sul serio questa paternità donata (cf. Mt 1,24). Probabilmente può valere anche per noi. È vero che la nascita del Figlio rivela innanzitutto la paternità di Dio (Eb 1,1-6; 2ª lettura del Giorno di Natale) e anche la nostra figliolanza (Gal 4,4-7; 2ª lettura della Festa di Maria Madre di Dio ) ma in qualche modo rivela una paternità «diffusa» che è richiesta a chiunque voglia seguire il Cristo, una paternità o maternità non derivante dalla carne ma dalla risposta alla sua chiamata.
Quali le cifre di questa paternità? Significherà guardare con occhi diversi agli altri, riconoscendovi le tracce della figliolanza comune, l’attenzione al piccolo come lettera di Dio per le nostre vite. Significherà prendere le distanze dalla tentazione di sterilizzare tutto, sentimenti, vicinanza, contaminazioni con altre esistenze, col pretesto di non correre rischi. Significherà riscoprire la pazienza, virtù disprezzata ma essenziale per non vivere solo di realtà confezionate e pronte all’uso, la pazienza di seminare, di attendere, di raccogliere nei tempi giusti non solo dalla terra ma da quel campo che è la comune umanità. Significherà riconoscere la complessità della vita, smettere con la pretesa che tutto sia immediatamente riconoscibile e classificabile con etichette standard. Significherà imparare o reimparare la compassione, altro sentimento accuratamente bandito dal campionario del nostro tempo, la capacità di piangere con chi piange e gioire con chi gioisce (cf. Rm 12,15). Significherà riscoprire il dono della differenza, disintossicandosi dall’omologazione, dalla calda coperta del conosciuto ma che alla lunga può soffocare.
Vivere la pace che promana dal volto del Signore (cf. Nm 6, 22-27; 1ª lettura della Festa di Maria Madre di Dio) non come pretesa ma come compito da testimoniare e da cercare, come riflesso, sul volto del fratello. Questi significati, o compiti, possono condurre anche noi, come i Magi, a sperimentare la «grandissima gioia» di chi ha incontrato una luce sul proprio cammino (Mt 2,1-12; Epifania).
Buon Natale a tutti.
*Cappellano del carcere di Prato