Ogni strada fa nascere qualcosa
Il cammino dell’Avvento prosegue questa domenica presentandoci un’immagine tipica di questo periodo, la strada spianata per la venuta di Dio in mezzo al suo popolo. La si ritrova nella prima lettura (Is 40,1-11) che apre in modo grandioso l’intero gruppo di capitoli di Isaia chiamato «libro della consolazione», e risuona nell’annuncio del Battista che, nell’ottica di Marco, la attualizza in riferimento all’arrivo del Messia (Mc 1,1-8). E’ una strada che spesso, nella predicazione, viene interpretata come impegno del credente per favorire, attraverso le proprie disposizioni, l’incontro con il Signore. In realtà, prima di tutto, è opera di Dio.
Lui stesso aprirà nel deserto una strada, come cosa nuova che germoglia (cf. Is 43,19), così come Cristo si presenterà come via (cf. Gv 14,16), in modo che resti chiaro che innanzitutto è lui che agisce affinché il suo popolo possa uscire dalle sabbie nelle quali si è impantanato. Non camminerà, come gli idoli, portato a spalla sulle strade aperte dagli eserciti invasori, sarà piuttosto lui che invierà collaboratori inconsapevoli al suo disegno, come Ciro, in modo che quello che ha progettato giunga a compimento (cf. Is 45,1-6). È vero, comunque, che al popolo è richiesta una certa collaborazione. Proprio l’affermazione dell’attesa della manifestazione piena del progetto di Dio, dei «cieli e terra nuova nei quali abita la giustizia» (cf. 2Pt 3,8-14; 2a lettura) viene ripresa dal documento del Concilio Gaudium et Spes per ribadire che questa attesa «non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente» (GS 39).
Nell’immagine della strada convergono infatti questi due aspetti: vi è qualcuno che l’ha aperta ma vi sono molti che vi camminano e la animano; una strada ha determinate caratteristiche topografiche, ma è caratterizzata anche dall’aspetto umano, è una realtà geo-politica per eccellenza. I paesi che attraversa, le persone che vi abitano, i negozi e le fabbriche caratterizzano una strada, come pure i posti di blocco, i recinti che la contornano e le bande che la infestano ne delineano il volto. Una strada può essere una via di salvezza o una trappola mortale, una minaccia o un’opportunità. Dalle grandi strade storiche, come le vie consolari romane e la via della seta, alle attuali autostrade informatiche, dalla rotta oceanica di Colombo a quelle dei migranti nel mediterraneo l’ambiguità è sempre in agguato. Eppure per il fatto stesso di esserci, la strada richiama alla vita.
Qualche anno fa passando da un checkpoint dell’esercito israeliano nei Territori Palestinesi occupati che bloccava il passaggio dell’unica strada e costringeva a lunghe code per ore, fui colpito dal fatto che anche in quel frangente, sotto un sole cocente, vi fossero tassisti improvvisati, portabagagli con carretti a mano, banchetti fatti con cassette da frutta che vendevano bibite e dolciumi, una marea di gente che viveva sulla e della strada anche in quel contesto di tensione e scontro latente (e spesso esplicito) in una sorta di rivincita della vita.
Ogni strada, prima o dopo, in un modo o nell’altro, fa nascere qualcosa e Dio ha scelto di aprire una strada, di farsi strada pur nei limiti che essa comporta. Egli ci chiede di percorrere questa strada, con le nostre paure che alle volte diventano ipocondrie, e di correre il rischio dell’incontro con l’altro. Perché ogni porta sprangata dietro alla quale uno pensa di ripararsi assomiglia pericolosamente a quella di un sepolcro.
*Cappellano del carcere di Prato