Il messaggio dell’Avvento è chiaro: vegliate!
Il tempo di Avvento, come pure un nuovo anno liturgico, inizia oggi con una splendida lettura di Isaia (Is 63,16-64,7), un’ invocazione dai toni accorati rivolta a Dio che ne sottolinea la distanza, l’assenza , la nostalgia e che esplode nel grido «se tu squarciassi e cieli e scendessi!», speranza viva ma sempre esposta alla doccia fredda del realismo, come se sottotraccia questa invocazione portasse con sé il dubbio «…ma chissà se accadrà!» o addirittura la propria negazione: «…ma tanto non accadrà!».
Non so se questi pensieri passassero nel cuore di Isaia, ma certo noi possiamo aver sperimentato molte volte la necessità, il desiderio di sperare, di invocare la salvezza in qualche difficoltà, la luce nel buio dell’esistenza ed essersi poi ritrovati frustrati, delusi e scettici. È un dato della cultura del nostro tempo, la ricerca di qualcosa di valido, di perenne, di un senso, di Dio stesso, che si tramuta in non senso, vuoto, inutilità, come in tante opere letterarie e teatrali, «Aspettando Godot» per esempio, che danno il senso di una invocazione che cade nel vuoto: Dio non scenderà.
Ora in realtà la Bibbia fa proprio il discorso opposto. Dio è già sceso a compiere opere grandiose, il popolo di Dio nasce con l’esodo dall’Egitto, cioè dall’intervento in prima persona di Colui che ha ascoltato il grido dell’oppresso ed ha scelto e inviato Mosè, che non era neppure troppo convinto a questo riguardo (cf. Es 3,7-10). Si tratta di invocare un ritorno più che una venuta, di riprendere un rapporto che si è interrotto, una relazione che si è raffreddata e che ha scavato un fossato fra i due partner, ha spento la comunicazione e la confidenza. Non si tratta di un’ invocazione che cade nel vuoto, ma della stessa assenza di invocazione: «nessuno invocava il tuo nome»; non si tratta di un popolo, di una umanità abbandonata a se stessa, come forse a noi viene istintivo di pensare, ma di un Dio abbandonato, messo da parte, immagine assurda e blasfema, se non fosse che Egli stesso molte volte nella Bibbia partecipa il suo tormento, che assume i contorni dell’amore tradito (cf. Os 2,15).
Il profeta,come ogni profeta autentico, ha ben chiara questa situazione, che porta il suo popolo ad essere «avvizzito come foglie», ma non è detto che la diagnosi sia condivisa dagli interessati. La rimozione, la negazione, l’autoinganno sono meccanismi adoperati abbastanza comunemente per non guardare la realtà, sia a livello personale che sociale: il problema non c’è o se c’è è colpa di qualcun altro, a costo di inventarselo.
Ora il messaggio dell’Avvento è proprio questo: vegliate! (Mc 13,33-37). Non si tratta di avere occhi aperti sul vuoto, lo sguardo catatonico del cliente in sala di aspetto perso nei suoi pensieri o nell’ascolto delle sue playlist, è lo sguardo di chi esce da sé per indignarsi, intenerirsi, scoprire e riflettere, cercare e domandare, progettare e sognare. È lo sguardo del cercatore di tracce, perché da qualche parte Dio è passato, e da qualche parte si è fermato.
Anche perché l’abbandono lamentato dal profeta non lo ha trasformato in un Dio acido e rancoroso. In Cristo ha preso sul serio questo abbandono, lo ha rilanciato e fatto proprio nel suo cammino di discesa dalla sua condizione divina (cf. Fil 2,6-7) per incontrarci nel bambino di Betlemme. Avvento significa non rassegnarsi a cessare questa ricerca nel cuore del mondo e della nostra umanità.
*Cappellano del carcere di Prato