Lo scandalo del Dio trino e unico
Celebrando in questa domenica la festa della Santissima Trinità possiamo soffermarci sulla prima lettura (Es 14,4-9) dove, in verità, non si accenna a questo mistero fondamentale della nostra fede, anzi Dio proclama il suo nome di fronte a Mosè sottolineando piuttosto l’unicità del proprio essere. È però un Dio che «passa» innanzi a lui e questo semplice verbo, a mio parere, sbilancia fortemente questa presentazione monolitica.
Questo Dio, per così dire, «mobile» contrasta molto con l’idea che la filosofia si è fatta di lui nei secoli: il motore immobile, «colui che move il sole e l’altre stelle», ma non certo se stesso. La mobilità è qualcosa di profondamente umano, in fondo parla di instabilità, se da una parte è anche vero che gli idoli «hanno piedi ma non camminano» (Sal 114,7), è molto facile pensare ugualmente a Dio come una realtà inamovibile: Egli «è la roccia della nostra salvezza» (Sal 94,1), il termine biblico che viene tradotto con «gloria» evoca l’idea di pesantezza, ancora una volta per dar conto della stabilità di colui che è l’Eterno ma forse anche con il rischio di sclerotizzarne la vitalità. Egli è invece colui che passa, come fuoco, in mezzo agli animali sacrificati da Abramo per suggellare con lui la sua alleanza (cf.Gn 15,17), passa di fronte alla grotta di Elia come vento leggero (cf. 1 Re 19,11), si coinvolge con il tempo dell’uomo e le sue dinamiche donando la sua parola, la legge incisa sulle tavole consegnate a Mosè. In questo senso davvero Mosè può invocarlo e chiedere di camminare con il suo popolo: la legge diviene luce alla strada del credente (cf. Sal 118,115), cammino quotidiano di scoperta di una relazione feconda e vitale.
Ogni legge trova il suo senso all’interno di un rapporto, organizza e norma le relazioni in una società, in un gruppo, fra membri di una comunità , cuce insieme concetti, valori, motivazioni e li trasforma in etica, prassi, scelte concrete. Altrimenti svuota se stessa, rimane teoria, ipotesi e si degrada in cavillo, artificio, retorica. Questo vale anche per la legge di Dio dove, con la venuta del Figlio, la centralità del rapporto diviene sovrastante perfino sui suoi contenuti specifici. Alla fine l’annuncio di Cristo non si concentra su aggiunte di particolari commi o decreti esplicativi, anzi il suo comandamento diviene uno solo (cf. Gv 13,34) purché esprima pienamente una relazione nuova con Dio e con gli altri e tutto divenga conseguenza di questo. La rivelazione del volto del Padre e il dono dello Spirito si situa in questo cammino, in questo coinvolgimento del Dio che passa nella vita dell’uomo e la trasforma.
Quella del mistero trinitario è una rivelazione che, nonostante sembri sorgere all’improvviso dal rigoroso monoteismo ebraico, si situa in diretta conseguenza con tutto il movimento di coinvolgimento di Dio con la storia del suo popolo.
Lo scandalo del Dio trino e unico, mistero insondabile e quasi rompicapo teologico , non è più incredibile del Dio che va a scegliersi un popolo ed ode con i suoi orecchi il suo lamento (cf. Es 3,7); lo scandalo del Verbo che si fa carne, del Figlio che svuota se stesso è in diretta continuità col Dio che va in esilio con il suo popolo abbandonando il tempio (cf. Ez 3,23). Il mistero della Trinità ci parla quindi di un Dio che vuol aver a che fare con quello che potrebbe sembrare la sua antitesi, l’uomo che, anche lui, porta in sé lo scandalo dell’essere una nullità e contemporaneamente «fatto poco meno degli angeli» (cf. Sal 8,5) e invitato a vivere, nel bacio santo della fraternità (cf. 2Cor 13,12), il mistero «scandaloso» della familiarità con Dio e i fratelli (cf. Ef 2,19).
*Cappellano del carcere di Prato