La regalità della croce
Si conclude con la festa di Cristo Re dell’universo questo anno liturgico, e si chiude anche l’anno giubilare della misericordia. Quando qualcosa si chiude, in generale, può nascere in noi una certa malinconia, come quando, alla fine di una festa, rimangono appesi addobbi sgualciti dall’uso, da riporre o da gettare direttamente nel cestino. È il ritorno della routine, del grigiore quotidiano, pensavamo che fosse nato qualcosa di nuovo ma c’eravamo sbagliati, tutto passa e alla fine «non c’è niente di nuovo sotto il sole» (cf. Qo 1,9).
La particolarità della liturgia in genere, e specialmente quella di oggi, è invece quella di farci partecipare a una realtà che sempre si rinnova. Il Cristo è colui che è il primo e l’ultimo e il vivente (cf. Ap 2,8), colui che è capace di farsi presente e rinnovare la nostra vita al punto che ogni momento diventa un nuovo inizio, ogni conclusione riapre un orizzonte nuovo da esplorare. Ecco perché il momento di estremo abbassamento che Gesù sperimenta nella sua croce diviene il momento della massima esaltazione, della manifestazione della sua regalità, via di accesso a una vita nuova frutto della sua morte redentrice.
Il brano di Luca (Lc 23, 35-43) ci mostra un Cristo bersagliato da una ridda di voci che ci ricordano l’esperienza terribile dello schizofrenico, di colui che sente risuonare in sé stesso una voce che lo tormenta al punto di non sapere come padroneggiarla, fino a sentirsene schiavo e dover fare quello che essa impone. È l’esperienza dell’uomo posseduto dalla Legione che ha perduto ogni parvenza di umanità (cf. Mc 5, 1-14). Cristo è immerso in un’eco che rimbalza da un interlocutore all’altro e che forse vorrebbe impossessarsi della sua anima, facilitata dall’apparente plausibilità del suo contenuto: «salva te stesso! Non sei il Cristo? Salva te tesso! Non sei il re? Salva te stesso!».
Possiamo vedere in questo frangente un Cristo profondamente sano, unificato in se stesso, capace di attraversare questa bufera, questa ridda delle voci, saldamente orientato verso il compimento della missione ricevuta dal Padre con il quale mantiene una relazione libera e profonda. Egli è veramente Re perché sa governare la sua vita, non cede al fascino di queste voci. Ma possiamo anche pensare che un certo aiuto lo abbia ricevuto dal ladro accanto a lui, che nella sua invocazione riflette la sua identità più vera: «salvami Signore! Tu sei re non per te, ma per quelli come me».
Sicuramente il Cristo questo già lo sapeva, ma in un rapporto di amore e dedizione si ha bisogno comunque di ribadire il proprio affidamento all’altro. Anche i Salmi lo ripetono più volte: «Ricordati, Signore, del tuo amore, della tua fedeltà che è da sempre» (Sal 24, 6), e mai una volta che Dio risponda sbuffando che lo sa già. Anzi: «mi invocherai e io risponderò, eccomi» (cf. Is 58,9). Una rassicurazione per «l’amico malato che tu ami» (cf. Gv 11,3) e che troverà la sua manifestazione più grande nell’invito al ladro accanto a Lui: «oggi sarai con me». Le voci falsamente sagge sono ridotte al silenzio, rimangono le braccia aperte di Cristo per ogni uomo riconciliato «dal sangue della sua croce» (Col 1,20).
*Cappellano del carcere di Prato