Una vita nuova, «esplosa» nell’eternità

Il tema della resurrezione dai morti è centrale in questa liturgia, che ci accompagna, fra l’altro, alla celebrazione della festa di Tutti i Santi, alla Commemorazione dei defunti e alla conclusione in poche settimane dell’intero anno liturgico.

Questo tema emerge chiaramente anche nel confronto fra la prima lettura (2Mac 7,1-14) e il Vangelo (Lc 20, 27-38) che, in modo quasi speculare, ci presenta la vicenda di sette fratelli. Vi sono, naturalmente, anche delle differenze: il primo gruppo è vittima  di una feroce persecuzione, come altre ve ne saranno nella storia del popolo ebraico, ma forse la prima con questa ferocia distruttiva del pensiero e della cultura ebraica, per cui nasce la domanda se valga la pena non tanto perdere la vita di fronte a un nemico più potente, ma perdere la vita per la fedeltà all’alleanza.

È una domanda che si riproporrà anche agli stessi discepoli di Gesù: «abbiamo lasciato tutto, cosa avremo in cambio?» (Cf. Mt 19,27). I sette fratelli accettano la scommessa di una ricompensa futura, radicata nella fedeltà di Dio che ricompensa la fedeltà del credente. Si apre un prospettiva nuova, quella di una vita che non si esaurisce nel tempo presente, ma nel futuro di Dio. Il gruppo dei fratelli presentato nel Vangelo, al contrario, ha l’aspetto di una macchietta, i sette che si contendono la sposa nel regno futuro. Certo la cosa è presentata così dai sadducei per far vedere l’inconsistenza, l’improbabilità di una realtà che cozza con l’esperienza umana della morte.

Gesù controbatte con forza alla pretestuosità delle loro argomentazioni però richiede anche a noi che crediamo nella resurrezione uno spazio di comprensione nuova: Paolo affermerà con forza che in caso contrario vana sarebbe la nostra fede (cf. 2Cor 15,14), ma la fede nella resurrezione non è affatto una bacchetta magica per risolvere le contraddizioni della storia.

Cristo chiede di entrare fin da adesso in una nuova modalità di rapporto con Dio e con la propria vita.  Quello che spesso l’uomo cerca è non perdere nulla, preferibilmente evitare i crocevia dolorosi dell’esistenza, rimuovere i problemi, magari con l’aiuto di Dio, o almeno con la convinzione che in qualche modo si possa riottenere, conservare quello che noi identifichiamo con la nostra vita.

Fatalmente questa strada apre la porta a concezioni della vita eterna che rasentano l’assurdo e che sono quelle stigmatizzate dai sadducei, che da questo punto di vista qualche ragione potrebbero avere. Invece Gesù Cristo è il risorto che ci apre la strada a una vita nuova,  a un cambiamento radicale e profondo, a una vita, per così dire, «esplosa» nell’eternità di Dio, non frammentata in «lotti» individuali dove conservare gelosamente i reperti che definiscono la nostra identità terrena. Credo che la vita risorta sia una prosecuzione di quella «perdita della propria vita» (cf. Mc 8,35) che Gesù richiede ai suoi discepoli. Non tanto un  perdere «ora»  per riavere «dopo», ma un «perdersi» continuo, verso Dio e  in Dio, ricevendo «un nome nuovo» (cf. Ap 2,17) e non semplicemente un mausoleo che perpetui il proprio ricordo. Perché egli è Dio dei viventi e non dei morti.

*Cappellano del carcere di Prato