Responsabilità, non privilegio
La liturgia della parola di questa domenica si apre con una meditazione sapienziale sull’evento centrale della storia di Israele, la liberazione dalla schiavitù nella notte pasquale (Sap 18,6-9). A differenza del racconto dell’ Esodo (Es 14, 1-21), epico e travolgente nel suo svolgimento, viene sottolineato qui un aspetto più umano: c’è un margine di incertezza, forse di pericolosità nell’evento pasquale, occorre coraggio, capacità di assunzione del rischio, unione nel «condividere allo stesso modo successi e pericoli» (v. 9). Come dire che non si tratta di assistere a uno spettacolo, siamo parte integrante del dramma della storia, sapere che «il Signore combatterà per noi» (Es 14,14) non ci permette di saltare le contraddizioni o le difficoltà che il Suo progetto troverà nel suo espandersi.
Anche la seconda lettura (Eb 11, 1-19) demitizza in qualche modo le pagine più importanti della storia di Israele: certo furono momenti gloriosi ma occorre riconoscere che nessuno dei Padri ottenne i beni promessi, «avendoli solo veduti e salutati da lontano» (v. 12), il traguardo si è spostato sempre più avanti e la fede deve essere sempre rinnovata, è una costante della vita spirituale, non una formula che risolve facilmente le difficoltà. Lo stesso messaggio consolante del Vangelo (Lc 12,32-48), «al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno» (v. 32), diventa un impegno che richiede attenzione, c’è una parte di rischio del quale dobbiamo essere coscienti.
La buona novella, il Vangelo di Cristo diventa responsabilità nelle nostre mani, non privilegio, né attestato di conformità per la nostra vita, un bene supremo da amministrare con saggezza, che a qualcuno può dare la vertigine e portarlo a ritirarsi, come il servo che nasconde il talento (cfr. Mt 25,18), o colui che nasconde la chiave in modo che neanche altri possano entrare (cfr. Lc 11,52). E allora quale vantaggio essere nella Chiesa, quale vantaggio mettersi al servizio del Regno, quale vantaggio ad annunciare il Vangelo? Risponderà Paolo chiaramente: «è un incarico che mi è stato affidato. Quale è dunque la mia ricompensa? Quella di predicare gratuitamente il vangelo (…) Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti» (1Cor 9, 17-18). Risposta sconcertante e paradossale, ma illuminante anche per noi, tentati forse di trascurare l’impegno per il regno per concentrarsi su mete a breve raggio, quando non meschine, e di utilizzare la tattica del lamento perenne anche nei confronti di Dio.
* Cappellano del Carcere di Prato