La domanda di riserva: «Chi è il mio prossimo?»
La parabola del Samaritano (Lc 10,25-37) che oggi la liturgia ci propone e che viene spesso considerata come una delle pagine evangeliche più ricche e significative, è stata commentata e sviscerata da teologi, biblisti, maestri di spiritualità in tutti i sensi possibili, trovando sempre nuove fonti di arricchimento per la vita cristiana. Possiamo perciò soffermarci qui solo su pochi aspetti, senza pretendere di essere esaustivi. Il contesto in cui essa si colloca è quello della comprensione della legge di Dio e della sua traduzione in pratica. E’ la domanda su «cosa sta scritto nella legge» per ottenere la vita eterna, che dà il via a tutto ciò che segue. Del resto la liturgia di questa domenica ci propone una riflessione sulle legge di Dio anche nelle altre letture (Dt 30,10-14 e Col 1,15-20); una legge, ci viene detto, vicino al nostro cuore, non confinata in uno spazio inaccessibile, che risponde al nostro bisogno più intimo ed è in consonanza con le nostre aspettative più vere.
Eppure Paolo, che della Legge ha grande esperienza, per i suoi trascorsi, metterà in luce il suo fallimento nel procurare all’uomo la giustificazione, la vita, la comunione con Dio. Egli dirà che senz’altro la Legge è buona, ma da qualche parte, evidentemente c’è un problema, e questo problema è la vita concreta dell’uomo (cf Rm 7,7-12). La legge è lineare, ma l’uomo non lo è affatto. Chi è dipendente da qualche sostanza, droga, alcool, gioco, sa bene il pericolo che corre, gli avvertimenti sui pacchetti di sigarette o sui manifesti pubblicitari sono in gran parte inutili. Si da per scontato che una persona cerchi il proprio bene, ma poi entrano in gioco moltissimi altri fattori. Ecco perché è così difficile cambiare modi di vita, agire, al di là delle chiacchiere, per la salvaguardia dell’ambiente, o la limitazione delle armi da fuoco… si sa che non si può andare avanti così, ciò non significa che singoli o comunità facciano realmente qualcosa per cambiare. E sappiamo anche che una vita evangelica, una carità autenticamente vissuta dona un’esperienza di pienezza inestimabile. Ma ciò non basta perché questo diventi prassi di vita. C’è sempre una domanda di riserva: «e chi è il mio prossimo?»: il mio concittadino, il mio correligionario, il membro del mio club, il tifoso della mia squadra, l’iscritto al mio sindacato?
Interessante anche il ribaltamento operato dalla parabola: chi è il prossimo del ferito? Colui che gli si è fatto vicino e che, in ultima analisi, è Cristo stesso, il vero Buon Samaritano. Ma anche questo richiede un cambiamento in chi è oggetto di questa sollecitudine. Sembrerebbe scontato: chi non vorrebbe essere servito, chi non vorrebbe trovare aiuto dal prossimo? In realtà anche questo non è lineare perché ogni incontro tende al cambiamento per cui non solo non è facile aiutare, ma a volte neppure farsi aiutare. Non sappiamo se il ferito abbia avuto qualche problema a lasciarsi toccare dal Samaritano, il testo non lo dice (forse anche a causa delle botte prese). Ma non sarebbe il primo a non volere essere toccato (o peggio, avere una trasfusione di sangue) da un nero o da un gay. E questo ci dà il senso di come una legge, chiara, scritta nel nostro cuore, vicina a noi possa essere stravolta e vanificata.
*Cappellano del carcere di Prato