Con l’Ascensione inizia il tempo del «rimanere»

Un aspetto alquanto singolare di queste letture, particolarmente nella prima e nel brano evangelico, è questa realtà dell’attesa che il Risorto chiede ai suoi discepoli. Vi è una sorta di «sede vacante», di «terra di nessuno» che separa due periodi: quello della presenza nella Chiesa del Cristo post-pasquale e il tempo dello Spirito inaugurato dalla Pentecoste. Perché questa mancanza di sintonia, questa sorta di «staffetta» ritardata? Cristo sale al Padre, la sua signoria si dispiega nel cosmo: perché questo periodo di attesa?

Sono giorni di preghiera, giorni in cui «rimanere» in città, giorni in cui la consolazione, per così dire, «esterna» dell’incontro con Cristo è cessata ma non c’è ancora la consolazione, sempre per così dire,  «interna» della luce e del calore dello Spirito che trasforma con la sua energia il cuore dei credenti. Una sorta di sabato santo in cui qualcuno potrebbe dire «hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto» (cfr Gv 20,13). Eppure questo non può essere semplicemente tempo vuoto, lo «standby» che ci fa tanto innervosire quando ci mettono in attesa sulle linee telefoniche. Deve essere un tempo significativo per gli apostoli, ma anche per noi che ascoltiamo oggi queste parole. 

Se il nostro tempo è il tempo di Cristo asceso alla destra del Padre, dello Spirito che anima la vita della Chiesa, nondimeno rimane, in qualche modo, il tempo dell’attesa. L’attesa del suo ritorno, ma anche del dono dello Spirito che non è dato una volta per sempre, ma anima col suo dinamismo le nostre vite. È il tempo in cui percepire la «lontananza» di Cristo, nel senso che la sua presenza ormai è sottratta alla logica di questo mondo, che relativizza anche problemi apparentemente insormontabili: la nostra vita «è nascosta con Cristo in Dio» (cfr. Col 3,3). Ma occorre riconoscere che questa non può diventare la formula che risolve tutto, che rimane una distanza fra la signoria di Cristo e la realtà: «al presente vediamo che non tutto è sottoposto ai suoi piedi» (cfr. Eb 2,8). Occorre  prendere sul serio questa distanza, questo avvento che solo la presenza dello Spirito può riempire. Rimane tutto un cammino da compiere che chiede la disponibilità del cuore, tempo utile per capire, «per piangere con chi piange, gioire con chi gioisce» (cfr. Rm 12,15); il tempo della carità, della costruzione della faticosa fraternità fra gli uomini.

Questo «tempo vuoto» (ma non vuoto) rimane comunque il tempo della Chiesa. In ogni momento essa è chiamata a «rimanere in città», avere il coraggio di restare nel cuore della storia degli uomini, con i suoi drammi e le sue disperazioni, senza consolazioni a prezzo di saldo, neppure quelle più spirituali. Solo una chiesa che rimane nella realtà con le sue contraddizioni può farsi ricettiva del dono della «perenne effusione dello Spirito» della quale Cristo asceso al cielo è il garante (cfr. Prefazio dopo l’Ascensione). In Cristo asceso al cielo storia ed eternità sono realtà ormai indissolubilmente unite.

*Cappellano del carcere di Prato