Donare noi stessi, come la vedova povera
Gli scribi originariamente erano gli incaricati di stendere documenti di ogni genere. Dopo l’esilio di Babilonia erano diventati gli interpreti ufficiali della legge del Signore (Esdra, 7,11). La loro professione era legittima, ma Gesù aveva da recriminare sul loro comportamento. Infatti il loro comportamento era segnato da vanità e ostentazione (lunghe vesti, saluti da parte di tutti in pubblico, i primi posti nelle sinagoghe e nei banchetti). Inoltre, sfruttavano le persone più deboli, provocando l’accusa tagliente di Gesù: divorano le case delle vedove.
La terza accusa riguarda il loro rapporto con Dio: pregano a lungo per farsi vedere. Quindi, non solo sfruttano i deboli, ma continuamente recitano una commedia. Esibiscono una grande pietà per convincere tutti che il Signore è dalla loro parte. Ma allora, se qualcuno non sopporta questa religione ipocrita e abbandona la fede, di chi è la colpa?
In contrapposizione Gesù ci presenta un modello di religiosità autentica, il simbolo della vera cristiana. Una vedova. Una donna che ha perduto il marito. Ha bambini? È giovane o vecchia? Non si sa. Non è necessario conoscerne il nome. Ci basta di saperla impoverita anche per la scomparsa del suo uomo, in una società in cui la donna aveva posto e valore per il marito. Vedova e povera.
Ed eccola, nel tempio. Forse ci viene spesso, forse non manca a nessuna celebrazione. Il tempio è bello e tutta quella folla – quegli uomini e quelle donne con i bambini, quella gente che viene a benedire il Signore, cantare la vita, ricordare i morti – quella folla è il suo popolo e costituisce, ora più di prima, la sua famiglia. Mette sempre da parte uno o due spiccioli per offrirli, perché il tempio sia bello e la storia di Dio col suo popolo continui.
Gesù si è messo seduto dinanzi al tesoro, cioè nel primo grande atrio del tempio detto il «cortile delle donne», dove si trovavano 13 cassette con apertura a forma di tromba, per raccogliere i vari tipi d’imposte dovute al santuario. Gesù ha già detto, insegnando alla folla, di guardarsi dagli scribi. Guardarsi dalla loro vanità (amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti), dalla loro ipocrisia (ostentano di fare lunghe preghiere), dalla loro cupidigia (divorano le case delle vedove).
Ora guarda la folla che getta monete nel tesoro. I ricchi vi gettano del loro superfluo: molte monete, che però non significano per essi perdita o impoverimento: danno di quel che avanza e la loro vita non ne risente affatto, mentre, intanto, ricevono ammirazione e lodi.
Una vedova povera gettò nel tesoro due monetine, che fanno un soldo. Quelle monetine sono tutto il sostentamento della sua vita; ella se ne priva liberamente e senza che nessuno lo noti. Nessuno, tranne Dio. Gesù, Parola di Dio, lo conferma chiamando a sé i discepoli e dicendo: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, quanto aveva per vivere».
La differenza sta tutta nel donare non quello che si ha, ma quello che si è. Il Signore attende dei gesti che non siano semplicemente dare delle cose, ma esprimano e realizzino il dono di noi stessi.
*Cardinale