La salvezza dei «cristiani anonimi»
Nel suo itinerario verso Gerusalemme – ci racconta il Vangelo di Marco – Gesù sviluppa una catechesi articolata e la dedica ai discepoli. Essi rappresentano tutti noi cristiani che in due messaggi scopriamo il senso pieno della nostra fede ancora imperfetta.
Il primo messaggio: anche Gesù davanti alla visione della salvezza come privilegio, come dominio e come gelosa prerogativa (volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva, «non era dei nostri»), replica a Giovanni celebrando lo splendore della libertà e della generosità di Dio (non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me).
Tutti coloro che non scelgono il male, ma si consacrano al bene e alla promozione umana e spirituale dell’uomo (abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome), qualunque sia la loro sigla o la loro bandiera, sono già nella compagnia di Cristo (chi non è contro di noi, è per noi).
L’autentico apostolo è pieno di gioia nello scoprire il bene che è seminato in ogni uomo, in ogni cultura e razza, ed è rispettoso per l’anima di verità dispersa in ogni ideologia, è convinto del valore del pluralismo e del dialogo.
La tentazione settaria che vuole monopolizzare Dio in un gruppo è anche una degenerazione della fede, anche se si illude di conservarne la purezza. Dio è potente abbastanza per far sì che si verifichi un’intenzione cristiana – un bicchiere d’acqua che si offre – anche al di fuori della Chiesa. Ecco perché il Concilio Vaticano II rivede o completa l’antico adagio «fuori della Chiesa non c’è salvezza»: «Lo Spirito Santo in un modo noto solo a Dio, offre a ogni uomo la possibilità di venire a contatto con il mistero pasquale di Cristo e quindi di essere salvato» (GS,22). Si tratta di quelli che Karl Rahner definiva i «cristiani anonimi».
Il secondo messaggio è costruito su una parola che riecheggia come un ritornello: «scandalizzare».
In greco il termine skandalon indica una pietra che fa inciampare i passi di un viandante. Vittime di questo attentato alla sicurezza e alla serenità sono i «piccoli», che, nel linguaggio neotestamentario, non sono semplicemente i bambini, ma anche, e ancor più, i credenti dalla fede fragile e ancora insicura. Gesù lancia un appello in favore di questi «piccoli»: essi hanno bisogno di una mano che li sostenga, di un occhio che li illumini, di un piede che sorregga i loro passi esitanti.
Se la mia mano diventa, invece, causa di errore, se il mio occhio guida l’altro verso il baratro, se il mio piede devia facendo cadere il fratello più debole, io sono uno «scandalo», un inciampo o, come satana, un tentatore.
Gesù riserva una maledizione (andare nella Geènna, cioè nell’inferno) per chi non si preoccupa della fragilità dei fratelli e li abbandona a se stessi. C’è una forza esplosiva nelle nostre mani e nelle nostre parole: spesso, anziché usarla per costruire e confortare, la usiamo per distruggere e spaventare. Il rispetto e la premura per gli altri, soprattutto per i «piccoli», devono essere al centro dell’impegno della comunità cristiana. (cf. Gianfranco Ravasi, Breviario familiare, Famiglia cristiana 1990).
*Cardinale