La vera grandezza è nell’essere umili
Gesù, attraversando la Galilea nel suo viaggio verso Gerusalemme, istruiva tutti i suoi discepoli.
Era così preso da questo insegnamento che evitava di avere le folle attorno a sé (non voleva che alcuno lo sapesse). Si tratta della proclamazione del mistero pasquale: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà».
I discepoli lungo la via avevano discusso animatamente. Tanto che Gesù, a Cafarnao, in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». E possiamo anche immaginare l’imbarazzo dei Dodici, che, costretti a riflettere dalla domanda inaspettata, si rendono conto di essere molto lontani dall’insegnamento e dall’esempio del Maestro: per la via infatti avevano discusso fra loro chi fosse il più grande. Gesù camminava avanti pensando alla croce. I discepoli gli camminavano dietro discutendo della carriera.
Si direbbe che colui che ha autorità da un punto di vista evangelico non solo non si mette al di sopra degli altri, ma si mette al loro pari nella comunione fraterna (con voi cristiano e, prima, con voi uomo) e al di sotto di loro nell’impegno del servizio (per voi vescovo, parroco, superiore, ecc.).
Questo atteggiamento è esemplificato da Gesù con l’esempio del bambino. Gesù va oltre il fatto che il bambino è solamente e sempre oggetto di educazione da parte dell’adulto, soprattutto genitori e insegnanti. Il bambino ha anche un messaggio prezioso da trasmettere proprio a coloro che, per età e per cultura, sono superiori a lui. Non è tanto il candore dell’innocenza che pure egli rappresenta, ma piuttosto la sua totale disponibilità; non tanto la sua limpidezza morale, quanto piuttosto l’abbandono senza calcoli, doppiezze e interessi. Il bambino è il segno della via aperta e nuova ed è sempre portatore di una grande speranza. Il discepolo ha dinanzi a sé la Pasqua di Gesù, che gli apre dinanzi una strada totalmente nuova illuminata dalla luce della fede, strada da percorrere con i passi dell’amore, con la invincibile speranza del Risorto che ci precede in Galilea, cioè nella terra dove con gli altri costruiamo la storia dell’umanità.
Il prestigio del discepolo e la sua gloria, non consistono dunque nella sua esperienza, nella sua scienza, tanto meno nel prestigio della finanza o nelle macchinazioni della politica, ma nella sua disponibilità a mettersi al servizio, a donarsi interamente al bene degli altri, senza nessun altro interesse che questo: imitare il Maestro, rispondere a quello che il Signore ha fatto per noi, nella consapevolezza che nell’amore vicendevole siamo sempre in debito (Rom 13,8).
*Cardinale