La vera grandezza è nell’essere umili

Gesù, attraversando  la Galilea  nel suo viaggio verso Gerusalemme, istruiva tutti  i suoi discepoli.

Era così  preso da questo insegnamento che evitava di avere le folle attorno a sé (non voleva che alcuno lo sapesse). Si tratta della proclamazione del mistero pasquale: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà».

I discepoli lungo la via  avevano discusso animatamente. Tanto che Gesù, a Cafarnao, in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». E possiamo anche immaginare l’imbarazzo dei  Dodici, che, costretti a riflettere dalla domanda inaspettata, si rendono conto di essere molto lontani dall’insegnamento e dall’esempio del Maestro: per la via infatti avevano discusso fra loro chi fosse il più grande. Gesù camminava avanti pensando alla croce. I discepoli gli camminavano dietro discutendo della carriera.

L’importanza  dell’insegnamento è segnalata anche dal fatto che  Gesù si mette seduto e chiama attorno a sé i Dodici, in casa. Il codice dell’autorità cristiana è tutto racchiuso in un loghion (detto) limpidissimo e radicale: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». Come dire che i veri grandi sono coloro che servono gli altri e non quelli che si fanno servire dagli altri.Ecco la vera grandezza e la genuina dignità del discepolo. Non è attraverso il potere e la gloria che egli si realizza, ma – come direbbe l’evangelista Giovanni – nell’umile lavanda dei piedi. «Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho infatti dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13, 14-15).

Si direbbe che colui che ha autorità da un punto di vista evangelico non solo non si mette al di sopra degli altri, ma si mette al loro pari nella comunione fraterna (con voi cristiano e, prima, con voi uomo) e al di sotto di loro nell’impegno del servizio (per voi vescovo, parroco, superiore,  ecc.).

Questo atteggiamento è esemplificato da Gesù con l’esempio del bambino. Gesù va oltre il fatto che  il bambino è solamente e sempre oggetto di educazione da parte dell’adulto, soprattutto  genitori e insegnanti. Il bambino ha anche un messaggio prezioso da trasmettere proprio a coloro che, per età e per cultura, sono superiori a lui. Non è tanto il candore dell’innocenza che pure egli rappresenta, ma piuttosto la sua totale disponibilità; non tanto la sua limpidezza morale, quanto piuttosto l’abbandono senza calcoli, doppiezze e interessi. Il bambino è il segno della via aperta e nuova ed è sempre  portatore di una grande speranza. Il discepolo ha dinanzi a sé la Pasqua di Gesù, che gli apre dinanzi una strada totalmente nuova illuminata dalla luce della fede, strada da percorrere con i passi dell’amore, con la invincibile speranza del Risorto che ci precede in Galilea, cioè nella terra dove con gli altri costruiamo la storia dell’umanità.

Il prestigio del discepolo e la sua gloria, non consistono dunque nella sua esperienza, nella sua scienza, tanto meno nel prestigio della finanza o nelle macchinazioni della politica, ma nella sua disponibilità a mettersi al servizio, a donarsi interamente al bene degli altri, senza nessun altro interesse che questo: imitare il Maestro, rispondere a quello che il Signore ha fatto per noi, nella consapevolezza che nell’amore vicendevole siamo sempre in debito (Rom 13,8).

*Cardinale