Il coraggio della debolezza

La  traversata in barca del mare di Galilea, simbolo dell’avventura umana,  sottolinea fortemente la grande tranquillità di Gesù in contrasto con lo spavento dei discepoli. Tre attori occupano la scena. Il primo è il cosmo infuriato, simbolo toccante delle tempeste della natura e della storia, delle contraddizioni e delle oscurità, anche degli sconvolgimenti interiori che provocano tempeste nel cuore e nella mente.  Un’altra classe di attori è rappresentata dai discepoli:  spaventati gridano a Gesù la loro paura, colpiti dal fatto che Gesù dormiva, totalmente assente dal dramma che i discepoli stavano vivendo.

Infine, ecco Gesù, che domina tutta la scena ed è messo a confronto col primo attore: il mare personificato.

È facile notare i verbi usati da Marco: «minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”». Espressioni tipiche degli esorcismi contro il potere diabolico del male.

Sulla barca Gesù dormiva. È l’unica volta che nel Vangelo viene presentato Gesù che dorme. E dorme proprio quando era più difficile addormentarsi: a poppa di una barca, squassata da una gran tempesta di vento, e mentre gli apostoli hanno maggior bisogno della sua attenzione e del suo intervento. Così viene fuori la sottolineatura: spesso e proprio quando ci sarebbe bisogno di lui, Gesù sembra dormire, sembra assente dalle nostre necessità.

E invece Lui non ci abbandona mai e domanda che noi abbiamo fiducia e crediamo alla sua continua provvidenza e al suo amore: «Perché avete paura?».

A Maria l’angelo Gabriele ha detto: «Non temere». Questa parola ritorna nella Bibbia 365 volte. Quasi un invito per ogni giorno dell’anno, per ogni anno della vita,  quasi pane quotidiano per il cammino del cuore.

NON TEMERE, tu che stai impegnandoti nell’ascolto di quello che il Signore dice al tuo cuore. Non avere paura. Il cammino del Vangelo è «facilitato», non ostacolato dalle avversità. Di fronte a un impedimento, un ostacolo, una difficoltà, un rifiuto, ci sentiamo abbandonati. Eppure Lui è lì, in attesa del tuo atto di fede per darti coraggio e attraverso la difficoltà  farti diventare più adulto nella fede.

Il credente non supera la paura perché si sente forte. Al contrario dimostra coraggio soprattutto nella debolezza; anzi, ha il coraggio della debolezza. Diceva Kierkegaard: «Accettando il rischio di credere, l’uomo diventa un altro». Commenta don Alessandro Pronzato: «Forse noi rimaniamo frastornati in mezzo alla tempesta e scandalizzati da un Dio che dorme, proprio perché abbiamo sempre concepito la fede come sicurezza e non come rischio. Dobbiamo convincerci invece che, soltanto quando avremo imparato a rischiare tutto unicamente sulla Parola di Dio – senza contare su altre garanzie, ormeggi sicuri, porti tranquilli, zone franche e relative esenzioni, isole riparate – apriremo un varco verso cose nuove. Saremo diventati “creature nuove” il giorno in cui sarà la fede e non la paura a tenerci svegli…».

 «Credere a Cristo non significa avere tutto facile: non ammalarsi, non incontrare difficoltà; non significa camminare sul velluto. Credere è anche guardare in faccia le nubi e sapere che, nonostante ciò, ci sono sempre le stelle e nessuno può rubarcele. Credere è sapere che ogni venerdì è seguito da una Pasqua e che ogni tramonto è vigilia di un’alba. Il problema non è domandarci perché Cristo non ci salva dal male, ma se noi siamo nella stessa barca di Cristo»  (Averardo Dini, La Parola da cuore a cuore, Queriniana 2005)

*Cardinale