La giornata di Gesù, immersa nell’amore

Diversi anni fa, un film americano raccontava la comica avventura di un uomo che si ritrova a vivere una «settimana da Dio», con gli stessi «poteri» di Dio e con i suoi stessi «impegni» per ritrovarsi, alla fine delle sette giornate, assolutamente sfinito per la fatica di dover tenere tutto e tutti sotto controllo! Ben diversa è la settimana che il cristiano è chiamato a vivere, fatta non di poteri eccezionali ma di un’ordinarietà resa straordinaria dall’amore. Il vangelo di questa domenica ci racconta la «giornata tipo» di Gesù ed è proprio con Lui, con il suo stile di vita che dovremmo confrontarci per capire se stiamo camminando da veri discepoli.

La giornata di Gesù si svolge in diversi luoghi: in «sinagoga», a «casa», in un «luogo deserto», nei «villaggi vicini» e in «tutta la Galilea» (Mc 1,29.35.38.39). Inizia quando ancora è buio e termina dopo il tramonto del sole (Mc 1,32.35). Mi viene in mente l’immagine del sassolino raccolto sulla spiaggia che, sicuramente, a molti noi sarà capitato di gettare in mare o in un lago: raggiunto lo specchio d’acqua, disegna sulla sua superficie dei cerchi concentrici e sempre più larghi proprio attorno al punto in cui è sprofondato.

L’amore che Gesù vive ogni giorno è simile a questi cerchi: si riversa prima sugli amici, poi si estende sui parenti, sulla gente della città e, infine, su tutti gli altri. La sua giornata è un’immersione continua nell’amore di Dio e del prossimo, e la sua attenzione e tenerezza si manifestano prima di tutto nel rapporto con il Padre. Per custodire questa relazione intima, si alza quando ancora è buio ed esce per recarsi in un luogo deserto, in attesa della luce. Ogni nostro incontro col Padre, nella preghiera, è un momento di resurrezione (come indica il verbo del versetto 31) in cui, nuovamente, ogni giorno, scegliamo di vivere da figli e di attendere da lui luce per le nostre scelte.  Di sera, dopo essere stato in sinagoga, va in casa di Simone, la cui suocera è a letto con la febbre. Gli parlano di lei. Forse questa donna è bloccata da paure, da difficoltà, dalle proprie fragilità e non riesce a venirne fuori. La sua vita è ormai chiusa agli altri. Gesù, però, non la giudica né si comporta come spesso capita a noi, che vorremmo cambiare gli altri in una giornata e non ci ricordiamo che Dio, forse, ci ha atteso per anni e magari ancora aspetta la nostra conversione. Gesù «si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano» (v.31).

L’amore è farsi vicini e aiutare l’altro a risorgere dalle proprie notti «prendendolo per mano» (Mc 1,31). Accompagnandolo nel cammino e attendendo i tempi di Dio. Siamo chiamati a farci strumento di guarigione e di vita. E il segno inequivocabile che la guarigione interiore è avvenuta è il servizio: «La febbre la lasciò ed ella li serviva» (Mc 1,31). Ma Gesù non si limita a guarire i vicini: accoglie sulla porta di casa tutti i malati e gli indemoniati della città che gli vengono portati. Ma non permette ai demoni di parlargli, perché non c’è possibilità di dialogo tra Lui e il principe del male. Che Lo conosce bene, ma non Lo ama.

Dopo una giornata di guarigioni e di «successo» nella predicazione, i discepoli lo trovano nel luogo deserto dove si è ritirato per pregare e gli dicono: «Tutti ti cercano!» (Mc 1,37). Anche nelle nostre parrocchie, nei nostri conventi, nelle nostre realtà associative possiamo sperimentare momenti di gioia in cui ci sembra di raccogliere molti frutti. Chi nel sentirsi dire, dopo una veglia, un incontro di catechesi ben riuscito, una serata di evangelizzazione che ha attirato tante persone nuove, «tutti ti cercano!», sceglierebbe di andare altrove? Ma Gesù ha iniziato la sua giornata con il Padre ed è proprio la relazione con Lui che lo aiuta a capire, in ogni momento, le vie di Dio. Che richiedono una libertà profonda.

Si può servire «da re», e fare del proprio compito un’occasione per esercitare sugli altri il proprio potere, per farsi apprezzare, per mettersi in evidenza. O si può scegliere la via dell’umiltà e della piccolezza, che ti rende servo degli altri attraverso la fedeltà alle vie scelte da Dio. Che, talvolta, sono veramente incomprensibili, ma non ai santi. San Domenico , sull’esempio dell’amato Maestro, preferiva predicare dove sapeva che non sarebbe stato applaudito: era certo che l’insuccesso umano avrebbe portato molti frutti inaspettati.

In maniera misteriosa ma feconda il regno di Dio si fa strada talvolta proprio attraverso i nostri fallimenti. E purifica il nostro cuore rendendoci partecipi della stessa libertà di Paolo: «Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe anch’io» (1 Cor 9,23).

Suor Mirella Caterina Soro