Avvento, il tempo gioioso dell’attesa di un incontro
Dio «è come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa» (Mc 13,34). È strano e bello renderci conto che, con la venuta di Gesù, noi siamo diventati la «casa» di Dio. Si è come espropriato di se stesso, è uscito da sé per fare dell’uomo la sua dimora preferita. E, se ci pensiamo bene, anche per noi è così: siamo realmente noi stessi quando facciamo di Dio la nostra «casa». Gesù ci ha aperto la strada all’incontro col Padre, ci ha indicato la via tutta luminosa che lui, per primo, ha percorso per noi. Una via che può sembrarci «bizzarra», perché lo ha portato a edificare la propria dimora nel cuore dell’uomo.
Il tempo di Avvento, come ci dice il vangelo di oggi, è un invito a «fare attenzione» (Mc 13,33) e «vegliare» (Mc 13,33.34.35.37). Perché non conosciamo «quando è il momento» (Mc 13,33). Per quanto sia acuta l’intelligenza umana, troppe realtà ci sfuggono. Anche la nostra vita, spesso, ci appare un mistero. Certi eventi ci sembrano nebulosi, poco o per niente chiari. Ma non è forse vero che con la grazia di Dio, «in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza» (1 Cor 1,5)? Ma abbiamo davvero la possibilità di conoscere la verità? Da una parte, infatti, abbiamo in dono la sua conoscenza; dall’altra, «non sapete quando è il momento» (Mc 13,33).
Il rischio è di pensare che io possa conoscere il vero bene per me, mettendomi, così, al posto di Dio, mettendo in discussione la sua volontà che, invece, è sempre una volontà di bene. Ecco perché siamo invitati a stare attenti e vegliare. Ci dice san Paolo che è in Lui che siamo stati arricchiti dei doni. Perciò, solo lo stare in Lui può aprirci alla vera conoscenza. Ma «quando la mente si fa adulta e il mondo le si spalanca davanti, in proporzione ai doni intellettuali di cui Dio ci ha onorati, vengono anche le tentazioni della miscredenza e della disobbedienza». La ragione, allora, che ci è stata donata per conoscere e amare Dio, ci spinge ad allontanarci dalla sua volontà. Ma «un eventuale mormorio contro l’ubbidienza religiosa che è libertà perfetta, una protesta contro l’eccessivo peso del giogo di Cristo, un moto di ribellione contro l’autorità della coscienza, l’orgoglio di opporre argomenti alla Verità, o per lo meno l’accettazione del dubbio e della derisione e un uso leggero e insensato di argomentazioni e di affermazioni radicate nello scetticismo: ecco i punti di partenza verso l’apostasia. Seguono la pretesa all’originalità, il desiderio di apparire adulti e indipendenti, il timore di incorrere nella irrisione dei conoscenti, tutto ciò contribuisce in primo luogo a farci sparlare della suprema autorità della religione, e quindi a farci veramente pensare a essa in senso cattivo». Pian piano si cade nella «cecità del giudizio, come fu quella del faraone il quale a forza di resistere alla volontà di Dio, a lungo andare non riconobbe più quale fosse la differenza tra la luce e le tenebre» (John Henry Newman, La mente e il cuore di un grande).
Facciamo dell’Avvento il tempo gioioso dell’attesa di un incontro speciale. Diamo tempo alla preghiera, al raccoglimento, alla cura della vita interiore. Se non mangiamo, anche solo per pochi giorni, il corpo pian piano deperisce. La stessa cosa avviene nell’anima: se lasciamo la preghiera, l’anima si ammala. Forse non ce ne accorgiamo subito, perché questa malattia è meno visibile di quella del corpo. Ma ne vediamo, ben presto, i sintomi nella nostra vita: noia, egoismo, insoddisfazione, ansia, confusione. La grazia di Dio arriva come e quando vuole, e nessuno può prevederne i tempi. Ma il Signore ci invita a preparargli la strada, a vegliare, per non essere addormentati quando si manifesterà al nostro cuore. Come può parlarci se non stiamo con Lui? Come può manifestarci i suoi sogni sulla nostra vita? Come può liberarci da quelle piccole o grandi schiavitù che ci impediscono di volare?
«Vegliare», allora, significa dare spazio all’incontro con Dio, che è vita per la nostra anima e il nostro corpo. Restando in Lui, egli ci fa suoi intimi, ci introduce nel seno del Padre (questo è il dono della conoscenza) e illumina la nostra strada. Poiché «tu, Signore, sei nostro padre. Noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani» (Is 63,16; 64,7). Ribellarci a chi ci ha creato significa rifiutare il dono della vita. Restiamo vigili e pronti nell’attesa di Dio. Della sua misericordia, della sua salvezza. Solo Lui può «renderci saldi fino alla fine» (1 Cor 1,8).
Suor Mirella Caterina Soro