Le nostre vesti nuziali: giustizia, amore, fedeltà
Anche in questa domenica, come nelle due precedenti, siamo chiamati a riflettere sulla generosità del Padre e sull’incapacità del cuore umano ad accogliere il suo immenso amore. Una parabola, quella di oggi, che richiama alla responsabilità. Il brano del Vangelo si può divide in due parti, nella prima parte (versetti 1-10) si paragona il Regno a un banchetto di nozze preparato per il Figlio e, riguardo a questo banchetto vengono fatti tre inviti. Il primo invito è rifiutato, il secondo invito nuovamente rifiutato, possiamo dire che questi due inviti diventano occasione di salvezza per gli altri, infatti, al terzo invito la sala della festa è piena di buoni e cattivi. Mentre nella seconda parte (versetti 11-14) l’attenzione si situa sul Re: si rende conto degli invitati e tra questi ne scorge uno senza abito nuziale. La parabola del Vangelo parla di un re che fece una festa di nozze per suo figlio. Il re è Dio che offre al suo popolo la salvezza.
Il punto centrale della prima parte è il Re e il suo chiamare ripetutamente gli invitati. Il re che prepara le nozze del figlio e quest’ultimo sembra rimanere in disparte per tutto il racconto. Ben otto volte è ridetto il termine «banchetto – nozze». In questa prima sezione si nota che il senso del primo invito fatto ha il significato di convocare, chiamare, mentre nel secondo invito sembra esserci un chiamare eleggere-elezione quindi, una scelta se cosi si può dire. Nonostante l’invito vi è un rifiuto, ma non ne conosciamo il motivo.
Nel secondo invito si dice che tutto è pronto anche gli animali ingrassati sono stati macellati; è come se vi fosse una certa insistenza da parte del re nel volere a tutti i costi, l’adesione degli invitati. La reazione degli invitati però è forte, se ne andarono non curanti e addirittura uccidendo. Eventi che alludono alla morte dei profeti nella storia del popolo di Israele.
A tale violenza corrisponde l’indignazione del re che manda le sue truppe per sopprimerli e incendiare le loro città. Di fronte a questi modi, umanamente parlando, potremmo dire che vi è stato un fallimento per questo re. Ma neppure questo rifiuto fa arrendere il re che allarga l’invito a tutti, a chiunque sta per strada, a tutti quelli che s’incontrano. Questo particolare lo riporta solo il Vangelo di Matteo. La motivazione è perché «gli altri invitati non ne sono stati degni». Al banchetto furono invitati tutti: buoni e malvagi, nel vangelo di Luca si legge «poveri, storpi, ciechi e zoppi». Finalmente, per la gioia del re, la sala era piena. Da qui comincia la seconda parte.
Il re chiede all’invitato «Amico come sei entrato qui senza il vestito di nozze?» L’invitato non risponde, fa silenzio. Sembra sproporzionata questa domanda, visto che gli invitati sono stati riuniti senza preavviso. Qui, dunque, il vestito del banchetto, sembra essere decisivo. Anticamente, partendo dalla tradizione biblica, il vestito rappresentava la qualità etica e spirituale della persona, indicava l’appartenenza alla comunità dei salvati, la veste del battesimo. In questo bravo la veste ha un valore fondamentale perché rappresenta la fede attiva dell’invitato e quindi la consapevolezza di questa assumendosene le proprie responsabilità.
La «veste nuziale» necessaria per entrare alla festa di nozze rappresenta, quindi, le opere di giustizia, d’amore che ciascuno deve compiere. Tutti gli uomini, ciascuno di noi perciò, è invitato a nozze avendo l’intera esistenza per preparare l’abito nuziale; una vita da dedicare all’incontro finale con il Signore che, come il re della parabola, invita a un banchetto dove ci sono cibi in abbondanza, gioia e pace. Il banchetto di nozze, infatti, festeggia il matrimonio tra il Figlio (Gesù) e l’intera umanità chiamata gratuitamente alla mensa dei Re (Dio), che ama tutti indistintamente e chiama ognuno per nome. Un amore, però, che deve essere accettato. L’intenzione di Matteo è chiara: non basta la chiamata e la risposta per essere ammessi al banchetto, ma è fondamentale svestirsi dell’uomo vecchio e rivestirsi dell’uomo nuovo che vive nella giustizia, nella pace e nella fedeltà all’alleanza.
Suor Tiziana Chiara Caputo