L’abbraccio di Dio a noi, creature fragili

Alcune volte ci si domanda: «Ma Gesù aveva consapevolezza piena di se stesso? Sapeva, cioè, di essere il Figlio di Dio?». Il brano del vangelo di oggi ci rivela che, sì, Gesù aveva cognizione di avere una relazione intima col Padre che era del tutto particolare. Di essere il suo Figlio unigenito (cfr. Mt 11,27). E Dio Padre, nella sua benevolenza, ha deciso di accogliere anche noi nel suo abbraccio, tramite il Figlio. Noi, creature piccole e fragili!

È meraviglioso come Gesù, il Figlio di Dio, riconosca di non avere nulla di proprio ma di avere ricevuto tutto dal Padre (cfr. Mt 11,27). E noi che, invece, siamo creature, facciamo spesso l’esperienza contraria: ci appropriamo dei doni di Dio e li sbandieriamo come fossero «cosa nostra». Di qui nascono le gelosie, le invidie, la superbia, la grettezza, la poca generosità. Ma se prendiamo coscienza che ogni cosa ci è stata donata, useremo di tutto, ma saremo anche liberi da tutto. Gusteremo la bellezza e la verità del vangelo, che arricchisce eppure libera, che ti chiede di lasciare tutto e, quando lasci, scopri che solo allora inizi a vivere in pienezza. Ad essere realmente «ricco». Perché «tutto è vostro! E voi siete di Cristo; e Cristo è di Dio» (1 Cor 3,22-23). Il problema, allora, non è «non avere», ma essere liberi da ciò che si possiede. Come gli uccelli del cielo che Dio nutre e che non «mettono da parte» per il giorno dopo: si fidano del creatore e volano leggeri nello spazio che Egli dà loro «in prestito». Uno spazio largo quanto il cielo!

La pagina del vangelo di oggi si apre con una preghiera di lode: Gesù loda il Padre perché «hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). Sta parlando di quello che i mistici hanno definito «il segreto del cuore» di Cristo. Dio ha spalancato la porta del Suo Cuore, perché tutti possano entrarvi e scoprirne il segreto. Ciò che egli rivela, però, è accessibile solo ai «piccoli». Ecco perché è «nascosto»: non tutti riescono a scoprirlo. In questo brano evangelico, il contrario di «sapienti e dotti», attenzione!, non è «ignoranti e stupidi», ma «piccoli»: Dio si nasconde alla sapienza umana e ci insegna che alla vera conoscenza è introdotto solo chi si scopre povero.

I veri sapienti, allora, sono proprio i «piccoli». Il Signore non esalta la poca intelligenza, ma ci svela che l’intelletto dell’uomo è stato creato per scoprire il segreto del Cuore divino, tutto racchiuso nella via piccola e immensa del vangelo. Egli ci ha dato la capacità di vedere la via e ci ha resi partecipi della sua «benevolenza» (Mt 11,26), cioè del suo volere solo il bene. Possiamo imparare da lui a volere solo il bene! E in cosa consiste questo bene, per noi? Nel vivere non più secondo i desideri della carne, ma secondo lo Spirito. Nel vivere liberi. Senza di lui, infatti, siamo stanchi, appesantiti, incapaci di una vita che sia veramente piena e felice. Senza di lui siamo morti (cfr. Rm 8,12-13)! Ma da Gesù apprendiamo il segreto della vera sapienza: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita» (Mt 11,29). Se non cerchiamo ristoro nel Cuore di Gesù, possiamo pure andare in vacanza al mare o in montagna, ma torneremo a casa più stanchi e sfiniti di prima. La mitezza e l’umiltà di Cristo sono la sorgente del vero ristoro, il tesoro immenso che egli dona al nostro mondo soffocato dall’orgoglio, dalla superbia, dall’ingratitudine, dalla malizia e dall’arroganza.

Il cuore del cristiano dovrebbe essere sempre più «cristiforme»: impregnato di mitezza e umiltà. Di dolcezza. Di misericordia. Alcune volte, nel discernere le vocazioni alla vita sacerdotale o religiosa, diamo tanto peso ad aspetti problematici della persona che sono solo la normale conseguenza della fragilità umana. E che, talvolta, sono vera benedizione, perché allontanano dal pericolo ben più grave della superbia! Invece, il Papa stesso, con il suo esempio, credo ci indichi il criterio imprescindibile per discernere le vere vocazioni: la misericordia. «Vivere secondo la carne», infatti, significa giudicare secondo le passioni umane; «vivere secondo lo Spirito», invece, vuol dire accogliere il dono della grazia e accorgermi che tutto, tutto mi è stato donato. Niente mi appartiene. Se, dunque, accolgo l’invito di Gesù a vivere dentro il suo Cuore mite e umile, a farne la mia vera e unica casa, imparerò a guardare gli altri con il Suo sguardo pieno di tenerezza. Sarò strumento di misericordia, di unità e di guarigione per i miei fratelli.

Suor Mirella Caterina Soro