Lo Spirito Santo, il dono che ci fa capaci di donare

La sera di Pasqua, i discepoli sono riuniti nel cenacolo, chiusi e impauriti (cfr. Gv 20,19), dopo i tragici avvenimenti appena vissuti. Ma la loro unità crea lo spazio vitale nel quale Cristo possa manifestarsi. Egli, infatti, aveva promesso di rendersi presente nella loro comunione. Di fronte alle paure, alle perplessità e ai dubbi del cammino, abbiamo una grande certezza: nella comunità troveremo sempre Gesù. La sua luce, la sua consolazione. E «i discepoli gioirono al vedere il Signore» (20,20). Egli soffia su di loro e dona lo Spirito Santo.

Il dono ricevuto li rende capaci di farsi testimoni del Risorto anche in mezzo alle persecuzioni, ai rifiuti, agli insuccessi. Li rende liberi. La loro gioia non è superficiale e non nasce da «fuori», da avvenimenti esterni, da «soddisfazioni pastorali». Nasce dall’esperienza dell’unione continua con Gesù Risorto nello Spirito e, tramite Gesù, con il Padre. È una gioia che non può essere scalfita, perché trova la sua fonte non nelle vicende della vita, così diverse, mutevoli e incerte, ma nella sorgente stessa della gioia che è l’unione con Dio. È una conquista alla quale sono giunti solo passando per il venerdì santo. La pace profonda e duratura germina nella lotta e nella fatica della purificazione del cuore.

Lo Spirito è il dono che li rende capaci di farsi a loro volta dono per gli altri. È fonte di una liberazione profonda e duratura. Lo Spirito vivifica e dona all’uomo la stessa vita di Dio. La grazia è leggerezza, perché rende capaci di liberarsi dei pesi dell’egoismo, della chiusura, delle paure. Lo Spirito spalanca le porte chiuse dei cuori dei discepoli e li spinge verso il mondo per portare a tutti il dono della grazia. Lo Spirito li rende Chiesa e, d’ora in poi, sarà lui stesso ad istruirli e ricorderà loro tutto quello che Gesù insegnò con le opere e le parole. Lo Spirito Santo dona la capacità di «parlare in altre lingue» (At 2,4). Dona di entrare nei cuori, nelle mentalità, nelle culture diverse. Rende capaci di farsi «altro» per portare a tutti il messaggio del vangelo. Libera dalla tentazione di adattare la mentalità altrui alla propria e rende capaci di svuotarsi di sé per fare spazio all’altro.

Il giorno di Pentecoste, lo Spirito raggiunge i discepoli «in casa» (cfr. At 2,1-2): è nella comunità che essi imparano lingue diverse, aprono il cuore all’universalità. È «in casa» che essi abbattono ogni barriera. «A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua» (At 2,6): prima di andare «fuori», sono gli altri che arrivano «dentro», attratti dal sentire questi uomini, improvvisamente, così vicini a loro. Attratti dal linguaggio della comunione che gli apostoli hanno appreso dallo Spirito, nella preghiera concorde e unanime.

Se la nostra vita è davvero «nuova», non ci sarà bisogno di pubblicità per portare la gente a Cristo. Il Regno di Dio non si diffonde con i volantini, ma con una vita libera, leggera, attraente e non esente dalla croce. Con una vita nuova nello Spirito, i cui frutti San Paolo definisce come «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, dominio di sé» (Gal 5,22). «Il regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,21), anche se non si vede. Nasce nella povertà e nella mitezza. Cresce lentamente. Non è la nostra capacità umana a farlo fiorire, ma il Signore.

Papa Francesco desidera una Chiesa coraggiosa e lanciata verso le frontiere del mondo: secondo il Papa, la Chiesa deve «uscire fuori» per «raggiungere tutte le periferie che hanno  bisogno della luce del vangelo» (Evangelii Gaudium, 20), senza cedere alla paura del rischio. Ed è veramente significativo che Francesco abbia invitato il leader palestinese e quello israeliano,  Abu Mazen e Shimon Peres, in «casa», in Vaticano, per pregare insieme per la pace: le barriere si abbattono con la preghiera, perché l’unità è dono dello Spirito. Le frontiere si raggiungono quanto più si rientra «in casa», cioè nella comunione dei cuori. E il primo muro da demolire è la mondanità, che «consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana e il benessere personale». Essa «non sempre si accompagna con peccati pubblici, e all’esterno tutto appare corretto. Ma se invadesse la Chiesa, sarebbe infinitamente più disastrosa di qualunque altra mondanità semplicemente morale» (Evangelii Gaudium, 93).

Lo Spirito, datore dei carismi, ci insegna a valorizzare i doni di ognuno, per il bene comune. La valorizzazione dei carismi rende la Chiesa ricca, elimina le rivalità, abbatte le barriere, diffonde gioia e comunione. Ma l’esperienza dello Spirito non ha niente di emotivo. Piuttosto, rende capaci di donare la vita. Rende i cristiani uomini e donne di frontiera, perché radicati nell’amore.

Suor Mirella Caterina Soro