Il desiderio di vedere Gesù
Un giorno, un bambino mi ha chiesto: «Ma dov’è Gesù? Io non lo vedo e non lo posso toccare!». Quando, però, ho spento la luce, Simone si è accorto che, pur non vedendo me e le altre persone che erano nella stanza, io c’ero, lì con lui, e anche tutti gli altri! E che non tutto ciò che esiste noi lo vediamo e tocchiamo. I bambini sono fantastici perché vanno all’essenziale, a ciò che è vitale. A loro non interessano i ragionamenti astratti se non portano a qualcosa di concreto per la vita.
Tommaso, che tutti abbiamo sempre catalogato come l’apostolo incredulo, fa esperienza della ricerca dell’essenziale. Non gli bastano i racconti di coloro che hanno visto Gesù: lui vuole incontrarlo! Vuole vederlo e toccarlo. E Gesù accoglie il suo desiderio, permettendogli di mettere il dito dentro il suo costato. Tommaso entra, dunque, nel mistero del cuore di Cristo. Tocca le sue ferite, le penetra, accede al segreto del suo amore sconfinato. Toccare le ferite di Cristo significa fare esperienza della totale gratuità, della tenerezza e dell’immensità del suo amore. Significa fare esperienza del dono della grazia, che scaturisce dal Suo cuore trafitto e ci dona la stessa vita di Dio.
Tommaso fa esperienza diretta dell’amore di Gesù. E in quell’amore senza limiti, egli riconosce il Dio – uomo (cfr. Gv 20,28). La beatitudine espressa dal Signore manifesta una profonda verità: sono beati coloro che, pur non avendo visto, crederanno (cfr. Gv 20,29). Perché la fede ti dà la conoscenza di Dio e l’esperienza di Lui. Se, dunque, credi anche quando non vedi, nel credere i tuoi occhi si apriranno e vedrai e toccherai. Sarai beato, perché l’esperienza che desideri l’avrai in pienezza. Perciò, Gesù non disdegna il desiderio di Tommaso. Piuttosto, indica a noi la via per fare la stessa esperienza.
La strada del vangelo è una via stretta. Se la percorri, anche quando non comprendi, riceverai in dono lo stesso sguardo di Dio sulle cose e sulle persone. Ed è questo il motivo per cui chi è in Dio, non può più giudicare nessuno: perché vede ogni cosa e persona con lo sguardo divino, che è tutt’altra cosa del ristretto sguardo umano. Ed è come se riuscisse a vedere ciò che altri non vedono. In una delle sue pagine più commoventi, Etty Hillesum, ebrea morta nei campi di concentramento, scrive: «La miseria che c’è qui è veramente terribile – eppure, alla sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore si innalza sempre una voce – non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare -, e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine e orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire, ma non dobbiamo soccombere» (Lettera a Johanna e Klaas Smelik e altri). Quando faremo la rivoluzione dell’amore dentro di noi, inizieremo a vedere gli altri e ogni cosa con sguardo diverso.
Per imparare questo, Gesù ci ha chiesto di restare «in casa». I discepoli, certo, erano chiusi in casa per paura (cfr. Gv 20,19). Ma, se diamo uno sguardo agli Atti degli apostoli, noteremo che Gesù stesso, lì, chiede loro di restare a Gerusalemme in attesa dello Spirito (cfr. At 1,4). Perché solo lo Spirito Santo può dare la forza di amare fino a donare la vita. Solo lo Spirito ti rende capace di vedere Dio in ogni persona, in ogni situazione. Ma lo Spirito arriva quando sei «in casa»: arriva nella comunione. Arriva quando, pur vivendo la notte della fede, resti raccolto, in attesa della luce. Lo Spirito lo si attende nella preghiera (cfr. At 1,14). E, attraverso l’eucaristia, nella comunione con tutta la Chiesa e l’universo, noi possiamo toccare Cristo, che sta in mezzo ai suoi (cfr. Gv 20,19.26).
Il sacerdote è l’uomo della misericordia. Egli «è colui che fa toccare Dio» (S. Giovanni Crisostomo). E oggi, Festa della Divina Misericordia, la Chiesa canonizza solennemente due sacerdoti, due Papi del nostro tempo il cui cuore è stato veramente simile al Cuore di Cristo. Chiediamo anche noi, per loro intercessione, il dono di un cuore di carne, che ci renderà capaci di uno sguardo nuovo sulle persone e sulla vita. Come avvenne per Etty Hillesum che, salita sul vagone della morte, gettò dal finestrino l’ultimo biglietto, scritto all’amica Christien: «Abbiamo lasciato il campo cantando».
Suor Mirella Caterina Soro