Mettiamo i nostri peccati nel cuore aperto di Gesù

Il cielo abbraccia la terra in Gesù che, nella sua passione, sperimenta la più profonda solitudine. Gli amici lo abbandonano, Pietro lo rinnega, Giuda lo tradisce. Il Padre non risponde. Solo, appeso a una croce, stringe tra le braccia l’universo. Riconduce tutto al Padre. E, mentre grida il dolore dell’abbandono (cfr. Mt 27,46), dona lo Spirito. Dona l’unità. Una pecorella si era smarrita e il pastore lasciò le altre novantanove nel deserto per andare alla ricerca di quell’unica che si era perduta (cfr. Lc 15,3-7). Dio lascia il Figlio nel deserto della croce, per riabbracciare l’umanità perduta.

Dio è solo. Dio tace (cfr. Mt 26,63). Come può la Parola restare in silenzio? La Parola «nega» se stessa, la Parola si annienta, restando in silenzio.

In un meraviglioso dipinto, il Beato Angelico rappresenta il Cristo nella sua passione. È seduto, bendato, mentre viene schernito, percosso e deriso. Ma è in trono: non subisce la passione.

È lui, piuttosto, che ha scelto di amare fino a dare la vita. I suoi occhi sono bendati perché si rifiutano di vedere il male dell’uomo. 

Gesù ci ha amati così perché anche noi imparassimo a dare la vita gli uni per gli altri. Chi si ciba dell’eucaristia, impara questo amore silenzioso, bendato, folle. Un amore che ricambia il male con il bene. Un amore che paga il prezzo della solitudine, pur di diffondere comunione.

Del sangue versato da Cristo sulla croce, il Padre dice a S. Caterina da Siena: «Questa è la chiave del sangue de l’unigenito mio Figliuolo, la quale chiave diserrò la vita eterna» (S. Caterina da Siena, Dialogo, CXV). Dal sangue di Gesù nascono la Chiesa, i sacramenti, i carismi. Il sangue di Gesù purifica, lava, dona vita. Il sangue di Gesù è la fonte di ogni amore puro. Il sangue di Gesù è la sorgente della grazia che dona all’uomo la vita che non ha fine. Nel sangue di Gesù, allora, impariamo l’amore e gustiamo sin da ora la vita del Figlio, che è la stessa vita del Padre e dello Spirito Santo. Nel sangue di Gesù è immerso, da quel venerdì santo, l’intero universo. E tutto, in Cristo, è reso capace della nuova vita.

Lasciamo che Gesù lavi tutta la nostra persona: il cuore, i pensieri, i sogni. Lasciamo che purifichi il corpo, che lo renda dono per i fratelli. Abitiamo dentro le piaghe del Signore. Nascondiamoci dentro «la caverna» del suo costato (cfr. S. Caterina da Siena, Lettera n. 273). Dal suo costato, esce «il sangue dell’alleanza» (Mt 26,28). Il sangue di Gesù libera, perdona, purifica.  Entriamo nel suo cuore purissimo e dissolviamo, «nel caldo del sangue» (S. Caterina da Siena, Lettera n. 102), la nostra tiepidezza. Fuggiamo le opere della carne. Laviamo nel sangue di Gesù anche i dolori dell’umanità, le ferite delle guerre, gli orrori della povertà, le piaghe delle ingiustizie e delle violenze. Immergiamo ogni uomo e ogni donna, perché il sangue di Gesù lavi, purifichi, doni vita. Perché ogni lacrima diventi sorgente di grazia e di vita.

La cena del Signore, condivisa con i discepoli, è il tempo dell’intimità, del buio e della luce, dell’amicizia più tenera e del tradimento più amaro, della morte che sconvolge e della vita che rinascerà per sempre. È il tempo delle lacrime che liberano dalla schiavitù del peccato e ridonano la vita. È importante piangere il proprio male. Non te ne puoi separare se non ne senti l’amarezza, la bruttezza, il cattivo odore. E quando senti tutto questo, mettilo subito dentro il cuore aperto di Cristo. Per te si è lasciato trafiggere, perché fosse visibile ai tuoi occhi la follia del suo smisurato amore. Perché fosse sempre lì, davanti a te, il luogo dove, sempre, troverai casa.

Quando metti il tuo peccato dentro il cuore aperto di Gesù, la tua ferita si rimargina. E diventi una sorgente di misericordia, un luogo di resurrezione e di vita per i tuoi fratelli. Quando accetti di guarire, senti la pace di Gesù scendere dentro il tuo cuore e hai voglia di diffonderla e seminarla nel cuore di ogni uomo. In chi, ancora, non ha conosciuto il sorriso di Dio. Riposiamo, allora, questa settimana, dentro la «caverna» del suo costato. Nella verità, nella tenerezza, nella mitezza di Cristo. Che ci dona la vita perché anche noi impariamo a diventare dono per ogni fratello. Perché «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Suor Mirella Caterina Soro