Occhi liberi e puri per guardare i gigli
C’è un gesto quotidiano che è tanto semplice e ordinario quanto grandioso: lo sguardo. Tutti i giorni vediamo tante cose. Ma quante volte guardiamo? Quante volte osserviamo? Osservare significa serbare per qualcosa. Introdurre nell’anima. Conservare nel cuore, custodire. Godere!
Gesù invita i suoi discepoli a guardare gli uccelli del cielo, a osservare i gigli del campo (cfr. Mt 6,26.28). E sembra suggerirci che siamo portati, troppo spesso, dalla nostra umanità, a pensare solo a ciò di cui possiamo appropriarci, a ciò che possiamo «mangiare», «bere» o «metterci addosso». Gesù ci propone di diventare gratuiti, capaci di sguardi che si posano, godono ma non trattengono. Padroni del mondo, eppure liberi dalla schiavitù di chi non può fare a meno di qualcosa.
Il nostro sguardo possiede in sé grandi potenzialità. Possiamo decidere noi cosa guardare, come guardare. Possiamo decidere noi dove mettere il cuore. Quando Santa Teresina era a ricreazione con le sorelle e qualcuna la ingiuriava o diceva davanti a tutte le altre qualcosa di non vero o di negativo sul suo conto, la santa mostrava una libertà incredibile: in quel momento, infatti, per non lasciarsi condizionare da ciò che le veniva detto e per non fare spazio in sé a sentimenti negativi nei confronti della sorella, col rischio di smettere di amare anche solo per un attimo, concentrava la propria attenzione sulla bellezza del paesaggio che scorgeva da una delle finestre della sala in cui si trovava e godeva intensamente di ciò che vedeva. In questo modo, riusciva a mettere il cuore in qualcosa di bello e a non lasciarsi intrappolare dal male: la bellezza della natura vinceva sulla disarmonia delle parole che sentiva e Teresa riusciva a vincere ogni pensiero cattivo e a trasformare il male ricevuto in amore e perdono.
Avere uno sguardo così rende simili a Dio, che sceglie di vedere solo il bello della sua creatura e non il suo peccato. E che il vangelo di oggi mostra come un Padre che ha cura dei suoi figli, li nutre e li veste. Il profeta Isaia, d’altra parte, ci mostra anche il Volto materno di Dio: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15). San Paolo ammonisce che Dio solo è giudice. Ma che tipo di giudice? Un giudice che «mette in luce i segreti delle tenebre e manifesta le intenzioni» (1 Cor 4,5). E chi è che mette alla luce se non una madre che dona la vita al suo bimbo? Il giudizio di Dio, quindi, si identifica con il suo donare vita, luce, visibilità, bellezza. Si identifica con la sua paternità e maternità.
Ma come imparare uno sguardo libero sulle persone e le cose? Dio sa aspettare i nostri tempi, le nostre lentezze. Lui sa che la nostra conversione da ciò che è pesante a ciò che è leggero è graduale e la cosa non lo spaventa affatto: «nessuno è più paziente di Dio Padre, nessuno comprende e sa aspettare come Lui. Egli invita sempre a fare un passo in più, ma non esige una risposta completa se ancora non abbiamo percorso il cammino che la rende possibile» (Francesco, Evangelii Gaudium, n. 153).
Sarebbe una buona idea, perciò, creare nella nostra vita uno spazio anche materiale che dica «essenzialità», che ci aiuti a usare di tutto senza trattenere nulla. Riabituarci a suoni e melodie semplici, mettere davanti ai nostri occhi pochi vestiti, pochi libri, pochi dispositivi elettronici. Riabituarci ai colori veri della natura, molto più armoniosi di quelli creati nelle nostre fotografie artefatte. La quaresima, ormai vicina, può essere l’occasione giusta per imparare a «guardare», con gli occhi e con il cuore.
Suor Mirella Caterina Soro