Chi vive amando non può morire
All’inizio di questo mese, come ogni anno, abbiamo celebrato la solennità di Tutti i Santi e la commemorazione dei morti. Come abbiamo vissuto quelle giornate? Che cosa hanno lasciato in noi? Speranza, disperazione, serenità, angoscia, attesa, scoraggiamento, paura, fiducia? O, forse, come spesso accade, un po’ di tutto questo. Chiediamoci, allora, il motivo di questo ondeggiare tra sentimenti e atteggiamenti così contrastanti tra loro, addirittura opposti. Credo che la ragione sostanziale sia perché non crediamo nella risurrezione o perché ne abbiamo una visione distorta, addirittura ridicola, come i sadducei che pongono la domanda a Gesù se è vero che i morti risorgono. Per mostrare come sia ridicolo chi crede nella risurrezione inventano un caso limite di un uomo che, morendo, lascia la moglie vedova e senza figli. Siccome ha altri sei fratelli e tutti muoiono ancora senza lasciare figli, la donna è stata moglie di tutti e sette. I sadducei chiedono a Gesù di chi, alla resurrezione, sarà moglie quella donna. Gesù risponde dicendo che alla risurrezione non ci saranno moglie e marito «perché saranno uguali agli angeli e … figli di Dio». Come «figli» saranno partecipi della vita di Dio.
Qual è, allora, la vita di Dio? È vita di amore. È amore che è vita. Che Dio è, ed è uno che ama, l’ha detto Gesù: «Dio ha tanto amato il mondo, da mandare suo Figlio perché gli uomini abbiano la vita». Dio è! Quindi, vive e la sua vita è amore. «Dio è amore» è il titolo che papa Benedetto XVI diede alla sua prima enciclica. Nel brano di questa domenica, Gesù aggiunge che Dio è tale anche per i morti, citando Mosè che afferma che «il Signore è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe». Pertanto Abramo, Isacco e Giacobbe appartengono a Dio, sono di Dio, suo possesso di amore. Ma, anche: Dio è il loro possesso, il loro tesoro, il bene più grande che sanno di avere. Di conseguenza, se Dio vive, anche loro vivono «in» e «per» Lui. Che bello! Anche noi siamo di Dio, suo possesso, suo tesoro tanto che non vuole perderci e, quando lo facessimo, ci verrebbe a cercare come un pastore fa con le pecore che si smarriscono. Se avessimo questi pensieri per la mente, anche quando ci chiniamo presso la tomba di una persona cara e vi mettiamo un fiore e accendiamo un lume, probabilmente saremmo più sereni, non angosciosi.
Nella risposta di Gesù ai sadducei c’è un particolare su cui vorrei si fermasse la nostra attenzione. Abitualmente noi pensiamo che si risorgerà perché siamo figli di Dio. D’altronde questo si manifesta chiaramente anche nel Battesimo: morti al peccato (immersione nell’acqua), risorti a vita nuova (emersione dall’acqua). Pertanto il percorso è dalla morte alla vita. Gesù, tuttavia nel brano di vangelo ascoltato oggi, dice il contrario. Infatti, al versetto trentasei del brano di oggi, dice che: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, poiché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio». Gesù dice con chiarezza che siamo figli di Dio, perché figli della resurrezione, appartenenti a essa.