«Anche voi siate astuti nel farvi amici»
Diciamoci la verità: questa parabola di Gesù ci lascia un po’ smarriti, perché ai nostri orecchi risuona come un elogio fatto dal Signore all’amministratore disonesto. Potremmo dire che nella comprensione di questa parabola troviamo un intoppo, (forse anche più di uno), che ci obbliga a fermarci e a pensare, come faremmo se, nel bel mezzo di una sinfonia, sentissimo suoni in libertà che offendono i nostri orecchi. Ciò, evidentemente, ci costringerebbe a fermarci e a pensare perché l’autore di quell’opera abbia inserito una serie di cattivi suoni. Oggi noi ci troviamo così di fronte a questa parabola e ci dobbiamo chiedere il perché delle stonature e quale sia il messaggio da trarre.
La seconda questione riguarda la definizione che Gesù dà della ricchezza: «disonesta». Perché la ricchezza è disonesta se nell’Antico Testamento era ritenuta addirittura una benedizione di Dio? Perché quando uno possiede molti beni tanto da essere definito ricco, vuol dire che qualche stortura c’è stata nell’accumulo delle ricchezze o nel mantenimento, oppure perché costituiscono una grave tentazione ad abbandonare Dio. Infatti, Gesù dice che è la ricchezza (Mammona, il Denaro) la vera rivale di Dio: «Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
La parabola e le parole di Gesù sulla ricchezza, dovrebbero provocare in noi una seria riflessione sul modo di come consideriamo e usiamo i beni terreni.
1) Prima di tutto dobbiamo sapere che i beni sono del Padrone e non nostri: noi ne siamo solo amministratori.
2) Dio ha dato i beni della terra perché sfamassero tutti gli uomini, pertanto su di essi c’è un’ipoteca sociale. Ciò significa che quando ne va della vita dei fratelli e del bene comune, chi possiede ricchezze ha il dovere di metterne a disposizione quella parte che necessita.
3) Il vero rivale di Dio è la ricchezza. Quando, di fatto, il bene materiale diventa un assoluto, tanto da far dipendere da esso la nostra felicità e, per non perderne, siamo disposti anche a lasciar morire di fame dei fratelli, è evidente che bestemmiamo Dio perché non riconosciamo suoi figli, quanti vivono nella «periferia» del mondo.