«Ascoltare» è essenziale o essenziale è «ascoltare»

Il brano del vangelo di questa domenica ci riporta l’episodio di Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro, che ospitano Gesù nella loro casa. Maria profitta dell’occasione, per mettersi in ascolto ai suoi piedi, senza curarsi dell’affannarsi della sorella Marta attorno ai preparativi del pranzo. Il piccolo episodio, fin dal costituirsi della prima comunità cristiana, si è prestato a rispondere a una domanda che ci facciamo anche oggi: per i cristiani è più importante servire (fare) o pregare? Certamente sono necessarie tutte e due le cose, ma, ecco il vero senso della domanda, cos’è che ha il primato? Nell’episodio delle sorelle, troviamo la risposta proprio a questo interrogativo. Il Maestro afferma con chiarezza che la parte migliore è quella scelta da Maria. Gesù non rimprovera Marta di dedicarsi a «preparare» il pranzo, ma di farlo con affanno e agitazione. E’ l’agitazione che contesta Gesù, non il fare, che certamente è necessario, come ha evidenziato con la parabola del samaritano. Quello dell’agitazione, se non dell’angoscia del fare, è un errore che commettiamo facilmente anche noi, non solo nei rapporti con gli altri, ma anche nel rapporto con Dio.

Che il fare, oggi, sia l’unità di misura su cui siamo valutati in bene o in male, è sotto gli occhi di tutti. Infatti, la più comune delle lamentele che diciamo agli altri (e anche al Signore), è quella di non avere tempo perché abbiamo da fare, fare, fare,… E’ questa la ragione che portiamo quando ci rimproveriamo di non aver curato le relazione umane e, anche, la preghiera. Il dover fare e dover fare sempre di più, vero o finto che sia, mette in luce un altro non-valore. L’abitudine, oggi più di prima, di considerare le persone non per quello che sono, ma per quella che hanno. Ad esempio: non dovrebbe bastare essere uomini, appartenenti al genere umano per usufruire dei diritti universali dell’uomo, senza dover aggiungere un aggettivo al sostantivo uomo? Per esempio: bianco, nero, adulto, anziano, malato, oriundo, immigrato, emigrato, ricco, povero, forte, sano, portatore di malattie, ecc,… Neppure è sufficiente dire che una persona è viva per essere rispettata. Infatti, ci si chiede se «quella» vita è degna di essere vissuta. Così, non far nascere o anticipare la morte, è una cosa che sta diventando normale, addirittura un bene perché il vivere in quelle condizioni non sarebbe stato dignitoso, ma soprattutto, anche se non lo diciamo, sarebbe stato una spesa inutile. Ecco dove ci sta portando l’accento posto più sull’avere che sull’essere. Un approdo certo non generalizzato, ma sempre più praticato. Perché? Perché non si ascolta più.

Non ci ascoltiamo tra di noi, non ci ascoltiamo dentro di noi, non ascoltiamo Dio. Il primato dell’ascolto s’impone, allora, in tutta evidenza. Ha ragione Gesù, quando, rispondendo alla lamentela di Marta, le dice che Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta. Il primato dell’ascolto, affermato da Gesù in quel momento, si riferisce all’ascolto di sé e, di conseguenza, di Dio, ma è vero anche per gli altri casi segnalati. Chi non ascolta Dio, neppure ascolta la propria coscienza, e non è disponibile a confrontarsi con gli altri. Le parole di Gesù, dicevo sopra, ci impegnano a rivedere anche il nostro modo di pregare. Per noi pregare significa chiedere, raccomandarsi, manifestare i nostri bisogni a Dio, più spesso alla Madonna, ai Santi. Pregare è davvero chiedere? Anche questo, certo, ma non è la prima cosa da fare. La prima cosa, ci dice Gesù è ascoltare Dio, come ha fatto Maria che, appena Gesù è arrivato, si è seduta ai suoi piedi (la posizione tipica del discepolo) per ascoltarlo e lasciarsi rapire in quell’ascolto. E’ questo l’essenziale della preghiera. Non mettersi nell’atteggiamento dell’ascolto significa solo parlare a noi stessi e non a Dio. E Dio, quale parola ci dirà per prima? Quella che disse al Figlio dopo il battesimo nel fiume Giordano: «Tu sei mio figlio, ti ho amato dall’eternità e ti amerò per l’eternità».

Cosa più bella e più importante non potremmo sentirci dire e sarà stupendo quando il nostro cuore sentirà e vivrà a queste parole di Dio. Allora ci accorgeremo che non abbiamo nulla da chiedere, perché basterà la parola che naturalmente sgorgherà dal cuore: «Padre!». In questa parola sono contenute tutte le nostre richieste e tutte le risposte perché il «Padre sa», meglio di noi, di cosa abbiamo veramente bisogno e certamente ce la donerà perché si prende cura di noi come, più di come fa una mamma con il proprio bambino.

Questa domenica, certamente andremo a Messa. Non chiediamo niente, perché qui abbiamo tutto: il Figlio risorto che attualizza per noi, oggi, l’amore contenuto nella sua morte vissuta come obbedienza al Padre. Più di questo non potremo mai avere. Semmai, e questo è sempre bene, chiediamo il dono della Fede in Cristo. E’ Lui la pace, la gioia, la pienezza dell’amore e la certezza della beatitudine che non finirà mai per tutti, quindi, anche per te e per me. Grazie, Signore! Buona domenica!