Nessuno ci rapirà dalla mano del Padre
Questa quarta domenica di Pasqua è detta anche «domenica del Buon Pastore» perché ogni anno ci viene presentato Gesù sotto l’immagine del pastore che si prende cura del «gregge» che il Padre gli ha affidato. E’ vero che a noi, oggi, la figura del pastore non dice molto perché non rientra più nella nostra esperienza di vita quotidiana e, soprattutto, perché non ci piace vederci nella figura del gregge. Non era così, però, al tempo di Gesù. Il gregge era un vero tesoro, anzi ogni singola pecora lo era, non solo per il valore venale che rappresentava, ma anche per il tipo di rapporto che si costituiva tra pecora e pastore. Gesù umanizza tale tipo di rapporto da farlo divenire espressivo del rapporto di amore che lega lui e il Padre al gregge e ad ogni singola pecora e viceversa. Anche in questo breve brano di vangelo, uno dei più brevi del lezionario liturgico domenicale, le caratteristiche di questo rapporto emergono con chiarezza. Un «rapporto» fatto di conoscenza, intimità, premura, totale dedizione e di indistruttibile unità perché assunto nell’unità divina che lega il Figlio al Padre. Un rapporto dinamico, sempre in divenire, espresso da voci verbali e aggettivi di appartenenza personale: le «mie» pecore, ascoltare, conoscere, seguire, dare la vita.
«Ascoltare». Ascoltare è ben di più che udire perché nell’ascolto non è coinvolto solo l’udito, ma tutta la persona, addirittura il suo cuore perché suppone già una consapevolezza di appartenenza a colui che ci parla. Solo l’amata comprende e riconosce la voce dell’amato (infatti, leggiamo, in altro brano, che le pecore che non gli appartengono non comprendono la voce di Gesù), tanto da costituire già in sé un invito alla «sequela». Il legame profondo e intimo che lega il pastore ad ogni sua pecora è espresso con il verbo «conoscere» che ha risvolti di significato più profondi di quelli che solitamente gli attribuiamo. Per l’evangelista Giovanni il verbo «conoscere» esprime la comunione intensa ed intima che può esserci tra due persone che si amano tanto da perdersi l’una per l’altra e nell’altra, trasparenti l’una nell’altra a imitazione di quanto avviene addirittura nella Santissima Trinità. E questa comunione profonda tra il Pastore e le sue pecore è data dal possedere la stessa «vita» sgorgata dal cuore trafitto del Crocifisso, a noi donata senza alcun nostro merito e da noi, per grazia di Dio, accolta. Abbiamo qui un accenno appena percettibile al mistero della fede, che sembra essere antecedente ad ogni altro movimento dell’uomo verso Cristo in quanto premessa indispensabile perché si possa «ascoltare» la Parola del Pastore. Quanto dovremmo ringraziare il Signore del fede che ci ha donato! dono inestimabile perché la fede sola può dare un senso costruttivo alla nostra vita.
Ci sono ancora due voci verbali strettamente unite tra loro che vale la pena considerare attentamente perché ci riempiono il cuore di speranza. Le voci verbali sono: le mie pecore «non andranno perdute in eterno perché nessuno può strapparle dalla mano del Padre». E’ la certezza della salvezza e della vita in pienezza, quell’Eterno Padre. Abbiamo appena celebrato in modo solenne la Pasqua, il giorno nel quale Cristo «ha acquistato la salvezza e l’ha donata a tutti» mettendoci nelle mani del Padre. Lì siamo al sicuro. Non mancheranno tentativi di essere tirati via, ma questo non accadrà perché e la forza attrattiva del Figlio dell’Uomo appeso alla croce è più forte del peccato e della morte. Occorre però che noi continuiamo a «guardare» con fede al Crocifisso, stringendoci a Lui e amandolo nei fratelli.
In questa domenica del Buon Pastore siamo anche invitati a pregare per coloro che della missione del Pastore Unico sono partecipi. Non manchi, quindi, la preghiera per Papa Francesco (che continuamente la chiede), per i Vescovi, per i Sacerdoti, per i Diaconi perché siano come il Cuore di Cristo li desidera. Preghiamo anche perché non vengano a mancare nelle nostre comunità i Sacerdoti, di cui si vive in modo preoccupante la costante diminuzione.