I giusti chiamati a convertirsi

La parabola del Padre buono (o come molti la chiamano ancora «parabola del figliol prodigo»), forse è tanto conosciuta quanto poco compresa nel suo messaggio più profondo. Tanto meno, poi, è vissuta. Perché? Perché ci dimentichiamo la ragione per cui Gesù narra questa parabola come le altre due che la precedono. La parabola del Padre buono, infatti, nel capitolo quindicesimo del vangelo di Luca, è preceduta da altre due che hanno la stessa tematica: mostrare la misericordia e la gioia di Dio per i peccatori che tornano a Lui.

Le altre due parabole sono quella della pecora smarrita e quella della dracma (moneta) perduta. Per cui ben a ragione alcuni studiosi della Bibbia definiscono il capitolo 15° del vangelo di Luca come un «Vangelo nel vangelo». Infatti questo brano è la spiegazione del comportamento di Gesù, scandaloso per i farisei, che «accoglie i peccatori e mangia con loro», un capitolo che ci rivela in modo concreto quale sia il volto del Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo e Padre nostro. Una rivelazione che dovrebbe riempirci di gioia. C’è un altro particolare da rilevare in merito alla parabola del Padre misericordioso. Mentre le altre due parabole si trovano anche negli altri vangeli questa è propria di Luca, chiamato, anche per questo, l’evangelista della misericordia di Dio.

Veniamo ad esaminare un poco più da vicino la parabola. Chi sono i protagonisti? Il figlio che se ne va di casa, il padre, il figlio maggiore che rimane nella casa e un servo che interloquisce con il figlio maggiore, ma, come è evidente, non può essere detto un protagonista nel racconto. Qual è la figura emergente attorno alla quale gira tutto il racconto e lo sostiene? E’ la figura del padre: è lui che lascia andare il figlio più giovane, che lo attende, che gli va incontro prima che giunga alla casa, che gli si getta al collo e lo bacia, che ordina la festa, che esce ad invitare il figlio maggiore ad unirsi alla festa organizzata per il ritorno del fratello. E’ fuori discussione: il vero protagonista della parabola è il padre, non i figli, né il prodigo, né il lavoratore. Essi sono solo l’emblema di come gli uomini si pongono e si «sentono» di fronte a Dio. C’è chi si sente peccatore e chi si sente giusto. Ma di fronte al padre chi sono? Figli e soltanto figli che il padre ama nello stesso modo e che vuole rendere partecipi della «sua» gioia. Mentre, però, la partecipazione al banchetto è facile per il figlio minore, diventa difficile, quasi impossibile per il figlio maggiore che non ritiene giusto il comportamento del padre che fa festa per il figlio che ha sprecato tutte le sue sostanze con le prostitute. Leggiamo con attenzione le rimostranze del figlio maggiore perché, più di quello che crediamo, rispecchiano le nostre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso».

Qual è l’errore che fa questo figlio, un errore certamente più grave di quello del fratello, perché non gli permette di partecipare alla «gioia del padre», mentre quello del fratello che ha sperperato le sostanze del padre, addirittura la provoca? Il figlio maggiore ha ritenuto che il comportarsi da figlio (l’essere in casa con il padre) fosse un dovere e che, quindi, esigesse ricompensa, mentre il comportamento del fratello avrebbe meritato una punizione. Non è stato questo l’errore dei farisei che si ritenevano giusti? Non è questo l’errore nostro quando crediamo di meritare di più perché siamo (o ci riteniamo) più buoni degli altri? Il dono di «far festa» con il Padre è proposto a tutti i figli, ma vi partecipano solo coloro che, riconoscendo che «gli altri (anche se peccatori, ma tutti lo siamo)» sono figli amati dal Padre e, quindi, fratelli. Ricordiamo le parole del Padre: «Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».