La «sua» e la «nostra» trasfigurazione
In questa seconda domenica di Quaresima, durante la celebrazione eucaristica ascoltiamo il brano della «Trasfigurazione di Gesù» così come ce ne parla Luca. Dopo il primo annuncio della Passione, Gesù si mostra, a tre testimoni prescelti, Pietro Giovanni e Giacomo, nella sua vera identità di Figlio di Dio, l’Eletto. L’apparizione in gloria di Mosè e di Elia, che parlano con Lui «trasfigurato» del suo esodo (morte) che doveva avvenire a Gerusalemme, mette chiaramente in rapporto la Trasfigurazione con la Passione. Ciò significa che il punto di arrivo della vita di Gesù non sarà la Passione e la Morte, ma la Risurrezione, anticipata, seppur fugacemente, dalla Trasfigurazione.
A me pare che il momento particolare che viviamo, dovrebbe farci vivere in modo nuovo le pratiche tradizionali. Mi permetto di indicare alcuni orientamenti su cui incamminarci. La preghiera. Gesù si raccomanda che non sia fatta di tante parole perché il Padre sa di cosa abbiamo bisogno prima che glielo chiediamo. Il segreto e il cuore della preghiera, allora, non è «cosa» chiedere, ma «sapere» a «chi» si chiede: essere convinti che si chiede al Padre che ci ha amato e ci ama e per noi manda continuamente lo Spirito Santo che dà vita alla Chiesa e la alimenta in ciascuno di noi. Ecco: chiedere lo Spirito Santo per il papa che lascia e per il papa che verrà (che Dio già conosce), per quanti nella Chiesa operano bene e per quanti non lo facciano, per ciascuno di noi perché il nostro comportamento sia sempre più conforme al vangelo, è questa la preghiera che dobbiamo fare e solo questa. Chiediamo una nuova effusione di Spirito Santo per l’intera Chiesa di Cristo.
L’altra pratica quaresimale è l’elemosina, quale segno concreto di amore del prossimo. Il Papa, soprattutto in questo Anno della Fede ci ricorda che la prima carità da fare al prossimo è quella di donargli il Vangelo, che non è un libro, ma la persona di Gesù Cristo che noi abbiamo incontrato. Ma come potremo annunciare il vangelo se neppure noi lo conosciamo? Come parlare della nostra fede in Gesù Cristo vivo se abbiamo ridotto il nostro essere cristiani solo a pratiche esterne? Siamo convinti che non è più sufficiente vivere in una nazione cristiana per dirci cristiani?
Infine il digiuno, segno di penitenza. La penitenza vera, però, non è semplicemente consumare meno cibo, anche molti dietisti lo consigliano, ma «cambiare il cuore». Il Papa ci ha detto (o meglio ci ha ripetuto) in questi giorni le cose che deturpano il volto della Chiesa: «le divisioni e gli individualismi, la strumentalizzazione di Dio usandolo per i propri interessi, stracciarsi le vesti di fronte a scandali e ingiustizie, naturalmente commessi da altri, ma non essere disposti ad agire sul proprio cuore…, comportarsi in modo incoerente con la propria fede, ricercando vantaggi personali, onori,…» ed altri ancora. Abbiamo il coraggio di intraprendere questo cammino di conversione, l’unico che ci permette di vivere fin da ora la Risurrezione del Signore e mostrarci «trasfigurati» agli occhi del mondo? Benedetto XVI lo ha fatto e dobbiamo essergliene grati. Ma non dimentichiamoci che la vera gratitudine è seguirlo sulla via del nostro «esodo» da questo mondo.