Non girovaghi ma pellegrini
Prima di iniziare il commento al brano di Vangelo, mi sembra doveroso ringraziare il nostro direttore Andrea Fagioli della fiducia che mi ha dimostrato, invitandomi a commentare sul settimanale regionale il Vangelo della domenica. Non so perché abbia scelto me. Forse la scelta è dovuto al fatto che da più di un anno ho commentato il brano del Vangelo domenicale sul settimanale diocesano L’Araldo, e per 6 anni avevo fatto la stessa cosa nel foglietto di informazione settimanale della parrocchia di Santa Maria alla Marca in Castelfiorentino. Mi auguro di non deludere la sua fiducia e di acquistarmi quella di quanti avranno la bontà di leggermi. Certamente io non ho la cultura teologica e liturgica di altri commentatori che mi hanno preceduto in questo servizio che ho accolto con spirito di disponibilità e di collaborazione. Credo anche che possa essere di qualche utilità il sapere che sono sacerdote da 47 anni nella diocesi di Volterra, nella quale ho svolto varie mansioni oltre quella di parroco in diverse località differenti tra loro per realtà sociali, per sviluppo, per cultura e per tradizioni religiose. Con questo bagaglio di esperienze mi presento al più vasto pubblico di Toscana Oggi per fare insieme con i lettori un tratto del nostro cammino cristiano in un momento particolarmente difficile per la nostra fede perché molti, anche battezzati, vivono come se Dio non esistesse.
Con oggi iniziamo il nuovo Anno Liturgico. In questo anno ci accompagnerà la lettura del vangelo di Luca, che molti definiscono come il vangelo della misericordia. La misericordia è il mantello regale del Cristo «Re dell’universo» sotto il quale veramente troviamo salvezza. E’ al Cristo Risorto, Re e Signore della storia che la Liturgia di questa prima domenica di Avvento ci invita a rivolgere lo sguardo come meta del nostro peregrinare sulla terra. Proprio perché c’è una meta e un approdo al termine della nostra esistenza terrena, noi possiamo parlare della vita come un «cammino» o «pellegrinaggio» altrimenti sarebbe un «girare a vuoto». Infatti, se crediamo che il nostro «inizio» è «l’amore gratuito di Dio», l’approdo non potrà essere che lo stesso amore di Dio in certo senso «accresciuto», perché avrà dovuto bruciare quanto nella nostra vita terrena ha oscurato la bellezza del suo amore.
Non lasciamoci fuorviare dal linguaggio immaginifico con il quale gli evangelisti ci parlano del punto di arrivo della nostra storia personale e di quella del mondo intero. Gli stravolgimenti di cui si parla anche nel vangelo di oggi non sono per dirci che dobbiamo avere paura del momento «terminale» della nostra esistenza e della esistenza del mondo, ma di essere attenti alla novità grandiosa che ci rapirà, o meglio, che ci attirerà. Sarà la realizzazione piena, definitiva e completa di quanto Gesù aveva proclamato poco prima della sua passione e morte dando ad esse l’autentico significato, come si legge nel vangelo di Giovanni: «Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti (tutto) a me». Quello finale è il momento apice della storia degli uomini: la manifestazione beatificante del compimento di questa «attrazione».
La Liturgia, facendoci aprire l’Anno della Chiesa con il pensiero del «ritorno» glorioso del Signore, non vuole impaurirci, ma richiamarci alla nostra responsabilità di rimanere ben saldi nella fede che il Signore Gesù è il nostro unico Salvatore, segno e strumento della infinita misericordia del Padre. Per amore il Padre ci ha fatto nascere, con amore ci accompagna in tutta la nostra esistenza, quello stesso amore sarà il nostro approdo. Tocca a noi rimanere in questo amore, rimanendo ben saldi in Cristo Crocifisso e Risorto.