1. Le domande sulla origine del mondo, le cose prime o protologia, e sulla fine del mondo, le cose ultime o escatologia, accompagnano da sempre il cammino dell’uomo corredandolo di risposte date dalle visioni religiose, dalle riflessioni filosofiche e dalle ipotesi scientifiche. Tra le risposte, relativamente agli approdi ultimi, vanno annoverate quelle giudaica e quella cristiana sotto il nome di apocalissi o rivelazioni. Un dato di fatto testimoniato da un’ampia letteratura, il genere letterario apocalittico dotato di un suo logos interiore, vale adire di una sua interna razionalità e logicità i cui capitoli sono catastrofe, imminenza della fine, ultimo giudizio con relativa separazione dei buoni dai cattivi e nuova èra. Il tutto in un clima di esaltazione, di paura e di attesa febbrile attenta a decifrare segni e a calcolare tempi. Una mentalità mai venuta meno nel corso della storia e con la quale lo stesso evangelista, che compone il suo scritto subito dopo il 70, ha dovuto fare i conti.2. Sicuramente nella comunità di Marco erano presenti gruppi apocalittici tra i quali circolava verosimilmente un libricino che alcuni esegeti hanno denominato «volantino giudeo-cristiano», volutamente fatto confluire nel capitolo 13 del Vangelo per esservi radicalmente trasformato. Volantino nato a partire da una lettura catastrofica del presente: sconvolgimenti naturali, guerre, persecuzioni e all’apice la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio, emblema della fine di un mondo preludio della fine prossima del mondo. Un presente nella «tribolazione» (Mc 23,24) e nell’ «abominio della desolazione» (Mc 13,14), letti come segni di una storia alla fine: «Passa la scena, la figura, di questo mondo» (1 Cor 7,31), il tempo si è abbreviato (Mc 13,20; 1Cor 7,29), non ci sarà un’altra generazione (Mc 13,34). Segni al contempo della imminente venuta del Figlio dell’uomo nella potenza e nella gloria (Mc 13,26) a radunare gli eletti (Mc 13,27) nel Regno di Dio, in un mondo totalmente altro vinti l’Avversario, il male e la morte.L’evangelista prende atto di questa ansia apocalittica cogliendone il positivo: il non poterne più, il desiderio di emancipazione da tutte le potenze e i poteri che giocano a rendere amara la vita, il sognare un mondo diverso e l’attenderlo oggi stesso dal proprio Signore. L’apocalisse è l’urlo del povero in situazioni estreme. Marco dunque prende atto della positività di un atteggiamento, lo ospita nel suo Vangelo e nel contempo lo lima dalle sue sfaccettature negative ricorrendo a detti di Gesù ripensati nella comunità dei discepoli. Un insegnamento introdotto da una forte esortazione: «fate attenzione» (Mc 13,23.33), «badate a voi stessi» (Mc 13,9), «vegliate» (Mc 13,33.35); un invito a risvegliare la coscienza su un argomento di sicura importanza alla luce di parole che mai passeranno, quelle del Signore (Mc 13,31). Parole che in negativo dicono: state attenti a non scindere segni e realtà, a non perdervi in calcoli e a non divenire creduloni. Terremoti, carestie, tsunami, impreviste variazioni climatiche, guerre di ogni tipo e sradicamento dei simboli e delle ragioni che danno senso al vivere, il tempio e la fede, sono innanzitutto non segni della fine del mondo ma della quotidianità della storia, della realtà di sempre, dicono ciò che la vita è. Ogni dolore non è che un sempre nuovo «inizio dei dolori» (Mc 13,8), e per ogni distruzione vale il «non è ancora la fine» (Mc 13,7). Un invito pertanto a leggere la tribolazione-desolazione del presente alla luce del principio della realtà, figlia di cuori di pietra e di istituzioni di interesse restie a convertirsi. Una lettura che non esclude ovviamente il principio utopia, l’invocare la fine di questo mondo sperando l’apparizione di ciò che ancora non ha luogo, un mondo diverso. Inoltre i discepoli sono invitati a non perdere tempo e senno dietro calcoli di ore, di giorni e di tempi. Ecologia mentale è riconoscere di non sapere quando finirà il mondo e come. Infine il badare a se stessi implica l’uscire dalla condizione di creduloni affascinati da falsi cristi e da falsi profeti che si presentano sotto le vesti di «Io sono» la soluzione del problema dell’uomo e del suo destino (Mc 13,6.21-23). Compito del discepolo è irridere idoli e idolatria, ancorato al suo Signore e alla sua parola (Mc 13,31).3. Chiarito come non abitare il tempo della crisi, da illusi di una fine che si presume imminente e calcolabile e da dipendenti che si affidano al fascino di pseudo-veggenti più o meno improvvisati, il discorso si fa positivo. Con intelligenza l’evangelista ha collocato il discorso escatologico avanti il racconto della passione-resurrezione, a voler dire che la pasqua è la chiave di lettura delle cose ultime. Il come Cristo ha vissuto il tempo della sua crisi diventa il come la deve vivere il discepolo. Cristo che patisce a causa dell’uomo è un evento apocalittico nel rivelare in termini definitivi e esemplari, ultimi, la malvagità e l’ignoranza dell’uomo, costituito archetipo e riassunto delle vittime di ogni dove. Cristo che è passione di amore per chi lo ferisce a morte, tutti, è un evento apocalittico nel rivelare a tutti che Dio è buono verso tutti, costituito archetipo e riassunto di chi sorride al proprio nemico. Cristo risorto dai morti è evento apocalittico nel rivelare che la morte non ha potere su chi ama, primogenito dei risorti nel mondo senza odio di Dio. Come allora attraversare il tempo della crisi, della tribolazione e della devastazione? Con l’occhio della lucidità, è l’ora del grande male; con l’occhio dell’agape, è l’ora di amare chi ti fa e chi fa il male; con l’occhio della speranza, è l’ora di sapere che gli amori dati coniugati all’attesa invocata dell’amato (1 Cor 16,22; Ap 22,17) e dei cieli nuovi e della terra nuova (2 Pt 3,13; Ap 21,1) affrettano la venuta dei tempi della consolazione (At 3,19-21). Apocalittici sì, ma come? Dicendo a tutti e testimoniando a tutti nella perseveranza (Mc 13,9-13.37) che il mondo del male inizia a finire là ove nascono creature di preghiera e di fuoco, un in principio verso il suo compimento il cui giorno è noto a Dio. Queste le cose a cui badare, a cui porre attenzione e su cui vigilare. Amare la terra è abitarla diversamente e sognarla altrimenti, è affrettarne l’assoluta novità con la santità della vita e la forza della intercessione. *Eremo delle Stinche – Panzano in Chianti