Farisei: una razza di vipere mai estinta

3 novembre, 31ª domenica del Tempo Ordinario: «Vi siete allontanati dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento» (Ml 1,14 – 2,2.8-10); «Tienimi vicino a te, Signore, nella pace» (Salmo 130); «Avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita» (1 Ts 2,7-9.13); «Dicono e non fanno» (Mt 23,1-12)

Il brano evangelico di questa domenica appartiene al capitolo 23° del Vangelo di Matteo, che registra una serie di rimproveri e di accuse contro gli scribi e i farisei di una violenza inconsueta, sino all’invettiva «serpenti, razza di vipere, come potrete scampare alla condanna della Geenna?» (23,33).

Qualcuno può rimanere sconcertato, anche avvertire nelle parole infuocate dell’esagerazione e soprattutto il pericolo di una generalizzazione.

Non mancano gli esegeti che sostengono che «nella sua attuale forma violenta l’invettiva rispecchia più la voce dei predicatori ecclesiastici che quella del Salvatore… Il capitolo è un saggio della predicazione antigiudaica della primitiva Chiesa» (O. da Spinetoli). Dunque, in questa pericope si respira la tensione pesante che Matteo viveva nella sua comunità a causa della frattura ormai irrimediabile tra Chiesa e Sinagoga.

Possiamo, dunque, strisciarci le mani con soddisfazione, considerando che si tratta di parole pronunciate contro persone che appartengono ad un passato ormai lontanissimo?Non pensa così quel commentatore francese che intitola il suo commento a questa pagina di Vangelo: «Siamo tutti scribi e farisei» (Jean Pierre Bagot, Commentaires des textes du Missel, Desclée de Brouwer 1985).

Anch’io penso così: il fariseismo è un rischio permanente per la Chiesa. Altrimenti, perché la Liturgia ci proporrebbe questa pagina evangelica?

Gesù ci mette in guardia contro l’incoerenza: «dicono e non fanno». Insegnanti inappuntabili (perciò «fate quanto vi dicono»), modelli improponibili («ma non fate secondo le loro opere»). Diceva sapientemente un detto rabbinico: «Belle sono le parole nella bocca di chi le pratica». Tutti ricordiamo quanto il papa Paolo VI ha scritto nella Lettera Apostolica «L’evangelizzazione nel mondo contemporaneo» del 1975 (n° 41): «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o se ascolta i maestri lo fa perché sono anche dei testimoni». Non ti senti un incoerente?

Gesù ci mette in guardia contro il legalismo oppressivo: «legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente». La fede è gioia, adesione, perdono, speranza, pace. Chi vive la religione come esecuzione di precetti ed obbedienza ad un sistema di leggi, non è gradito al Signore, perché dimentica che essa è, prima di tutto, grazia e libertà e Dio vuole che la nostra gioia, anzi, che la nostra gioia sia piena. Tanto più che spesso, mentre si esige dagli altri l’osservanza, sappiamo trovare per noi abili scappatoie.

Gesù ci mette in guardia contro l’esibizionismo religioso: «tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini». Quest’accusa di carattere generico viene poi specificata con esempi concreti: i posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe, i complimenti e le riverenze, i titoli accademici ed onorifici. La religione diventa così un abito sgargiante che nasconde il vuoto della vanità o gli interessi personali: Dio è strumentalizzato allo scopo, più o meno consapevole, di costruire il proprio monumento o conquistare privilegi sociali o prestigio politico.

Le parole di Gesù sono molto severe ed inquietanti. Per tutti, ma specialmente per noi preti, dal momento che il Maestro parla degli scribi e dei farisei alla folla e ai suoi discepoli. Ma importante, anzi assolutamente indispensabile, è che ognuno prenda per sé quelle parole taglienti ed eviti il rischio, che diventa colpa, di scaraventarle in faccia agli altri. Esse sono per te. Per te che leggi, per te che ascolti. E ti aiutano a scoprire il fariseo che è acquattato dentro di te.