La dottrina dell’eucarestia

Domenica 17 agosto, 20ª del Tempo Ordinario. Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. (Giovanni 6,51)

DI BENITO MARCONCINIGiovanni non racconta l’ultima cena, ma offre nel vangelo una dottrina completa sull’eucarestia. Questa è presenza reale di Gesù Dio-uomo in senso più vero e completo di altre presenze (ad esempio nella comunità), non ben resa dal termine «memoria», traduzione debole del greco anamnesis; l’eucarestia è ripresentazione del sacrificio salvifico della croce, cosicché esiste un’unica offerta di Gesù al Padre per gli uomini in modalità diverse; è gioioso convito nel quale il Signore – stupenda e meravigliosa verità – offre non doni, ma se stesso nel senso più vero del termine. È Gesù risorto e perciò vivente a unirsi alla persona, la quale a differenza degli alimenti comuni, è trasformata dal «pane vivo»: contemporaneamente il credente riceve lo Spirito Santo, lo spirito di Gesù.

I sensi e l’intelligenza non risultano convinti da questa affermazione ed è comprensibile la tendenza della debolezza umana ad accontentarsi di una interpretazione simbolica: solo l’accettazione umile e gioiosa della parola di Gesù, degno di fede e di affidamento, è capace di superare ogni ostacolo. Il pane vivo che è Gesù dona una vita nel senso più ampio della parola, dall’oggi a oltre la morte.

La partecipazione a questo banchetto è nella linea della necessità e insostituibilità per realizzare la vocazione cristiana, ben al di là dell’obbligo, opportunamente continuata nel culto all’eucarestia fuori della Messa («visita»), come insegna l’enciclica Ecclesia de Eucharistia: la persona e la chiesa intera vivono dell’eucarestia.