Come è difficile diventare servi per amore

Letture del 21 settembre, 25ª domenica del Tempo Ordinario: «Condanneranno il giusto ad una morte infame» (Sapienza,2,17/20); «Sei Tu, Signore, il mio sostegno» (Salmo 53); «Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace» (Gc 3,6 ss.); «Se uno vuole essere il primo sia servo di tutti» (Mc 9,30/37)di Icilio RossiPagine particolarmente ricche e molto conosciute queste che ci vengono offerte! Semmai c’è da considerare e valutare il rischio, soprattutto per noi cristiani, che la loro ricchezza, rapportata alla diffusa e mnemonica conoscenza, si trasformi in verità date per scontate! Per questo, certamente non sarà mai da considerare dato per scontato l’evento per cui il Figlio di Dio si sia nascosto nei piccoli, nei poveri e che diventi salvezza per tutti ma in modo tutto speciale per coloro che il mondo non considera e non valuta anzi a volte mortifica e disprezza come inutili! Importante sarà, dunque, ricordare che l’essere «servo», per Gesù, ha significato, secondo il termine greco, una «schiavitù d’amore»!

E poi, desideroso di un servizio radicalmente nuovo. Gesù non ha cercato gratificazioni, perché la sua vera preoccupazione non è stata quella di dover servire («il Figlio dell’Uomo è venuto per questo»), ma piuttosto di offrire, perché anche noi l’accettassimo, la logica del dono totale, del dare la vita anche se il passaggio obbligato fosse quello della passione e morte. (Prima Lettura)

«Fatevi con me servi»È esplicito l’invito di Gesù nella espressione di Marco: chiamati ad essere ultimi per essere servi veri, nella sequela di Cristo e Cristo Crocifisso: di fatto la sequela è l’atteggiamento permanente che, dopo una prima chiamata, richiede disponibilità successive, obbedienze che magari non erano previste in partenza.

A questo proposito, è significativo quanto capita intorno a Gesù, quando chiede un «sì» più radicale: i Vangeli riferiscono che intorno a lui restano pochi ma sono definiti i «piccoli» capaci del Regno! Ma come può avvenire questo se diciamo che il Maestro è presente nella nostra esistenza e ci chiama?

Lo scandalo della mediocrità, il fatto che seguire il Vangelo non costituisce titolo di privilegio, la delusione di una vita vissuta solo sotto un equilibrismo spirituale, gli stessi calcoli di chi si domanda se, dopo tutto, potrà rivendicare un certo primo posto: queste e tante altre le insidie che ci ostacolano nell’essere «ultimi servi».Si impone una logica diversa che ci trasferisce in un modo di pensare diverso.«Non so dove il Signore mi porterà! Ma non m’importa di saperlo! Io sto come il servo che ogni giorno sta alla porta e chiede cosa deve fare!» «Sei tu Signore il mio sostegno»Il Salmo 53 si apre con un appello a Dio, nell’intuizione delle difficoltà peraltro espresse anche nella Prima lettura, che si ripropongono anche nella vita di ciascuno di noi.

Certamente se l’uomo progetta la propria vita solo a partire da sé, non potrà mai aprirsi alla chiamata di un amore servizievole e attento che lo trascende. Fintanto che l’uomo non troverà spazio per un tempo che gli conceda interiorità per il «profondo e il definitivo vero», costui raggiungerà solo la superficie del proprio essere, senza possibile apertura!

In ultima analisi, non ci potrà essere realizzazione piena di servizio autenticamente evangelico, senza quell’umiltà che mette di fronte a Dio e rende disponibile la persona ai Suoi doni. Solo la dimensione spirituale dell’umiltà, offre il linguaggio del povero, del semplice: «Tu sei il mio Dio, sei Tu, Signore, il mio sostegno».

A questo punto la fede coincide con l’umiltà, al contrario, si traduce nell’essere «servi gli uni degli altri, come un debito costante che ci rimane sempre da soddisfare». Solo così l’umiltà, trasformata in servizio, viene a marcare l’esercizio quotidiano di quella carità che «non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto e tutto accetta (1 Cor. 13).