Il vero perdono nasce solo da Dio
Letture dell’11 settembre, 24ª domenica del tempo ordinario: «Perdona l’offesa al tuo prossimo, e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati» (Sir 27,30-28,7); «Il Signore è buono e grande nell’amore» (Salmo 102); «Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore» (Rm 14,7-9); «Non ti dico di perdonare fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18,21-35)
Inoltre, a un livello ancora più profondo, dobbiamo riconoscere che, nonostante tutti i processi di idealizzazione che facciamo di noi stessi, siamo destinati, per molti aspetti, a deluderci gli uni con gli altri dal momento che il nostro più reale peccato o deficienza costituzionale è rappresentato da quel nostro io che non tollera nessuna delusione, nessuna smentita, o peggio, nessuna ferita dovuta alla realtà della vita che è limitata in molti sensi. Così, il nocciolo duro di tutti i nostri problemi è proprio il nostro io, un io gigante e talvolta delirante, che usa la violenza o la vendetta per ristabilire un presunto equilibrio dell’io. I testi di questa Domenica parlano piuttosto di perdono a cominciare dalla preghiera iniziale del sacerdote: «O Dio di giustizia e di amore, che perdoni a noi se perdoniamo i nostri fratelli».
Il sapiente Ben Sirac, nella prima lettura, ci parla a nome di Dio in questo modo: «Il rancore e l’ira sono un abominio, il peccatore li possiede» (Sir 27,30), mentre Gesù, nel Vangelo, raccomanda a Pietro di perdonare sempre, e racconta la parabola del re misericordioso con i sudditi misericordiosi, e severo con i sudditi severi. Così, conclude, «anche il mio Padre celeste farà con ciascuno di voi» (Mt 18,35). Ma Gesù non parla di perdono solo nel capitolo 18 del Vangelo di Matteo. L’amore che perdona sempre, l’amore che fa del bene anche a chi ci fa del male, è davvero il punto massimo della sua predicazione. Anzi, è l’esigenza più impegnativa che egli chiede ai suoi discepoli e discepole. Lottare contro ogni rancore, spirito di vendetta, perfino contro la vita che riteniamo spesso il capro espiatorio di tutti i nostri mali, è l’identità spirituale più profonda dell’anima cristiana. Amare la vita e gli altri, nonostante tutto, ecco l’insegnamento più straordinario che Gesù ci ha dato col suo esempio sublime perfino nell’agonia della passione e sulla croce della sua morte. Nessun rancore, ira o vendetta ebbe Gesù per i suoi crocifissori, ma solo una preghiera che saliva dal suo cuore piagato ma pieno d’amore per la vita e per gli uomini: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Così, il perdono nella vita in Cristo, come scrive un autore spirituale, è il sentimento più nobile che possa sorgere nel cuore umano. E anche il più misterioso e più spirituale, perché perdonare non è della natura dell’uomo e anche delle sue possibilità interiori.
Il perdono ha qualcosa di divino poiché la sua sorgente è solo in Dio, come dimostra l’esempio di Gesù. Tuttavia, perdonare non significa dimenticare o cancellare le profonde cicatrici lasciate sul nostro corpo dai colpi di un coltello. Significa piuttosto superare con l’adesione intensa al nostro Signore Gesù, la sofferenza. Nell’amore di Cristo, nel suo dinamismo, fatto di preghiera e di fiducia in Dio, l’odio e il rancore possono essere cancellati. I santi, come san Massimiliano Kolbe o Edith Stein, nell’orrore di Auschwitz, ma anche tanti cristiani sconosciuti, dimostrano che è possibile giungere con Cristo a questo vertice di amore per la vita e per l’umanità.