Il sogno di Dio: un banchetto per tutti i popoli della terra
Quando, nelle cronache del nostro tempo, avvertiamo con lucidità che il mondo in cui viviamo è terribilmente diviso dalle lotte per disputarsi i beni della terra, dal senso di appartenenza a una religione o un’etnia, da uno schieramento ideologico e così via, allora dentro di noi si fa strada un sogno: come sarebbe bello un mondo senza divisioni, senza odio, senza poveri! Ma se guardiamo più in profondità dentro noi stessi, con sincerità e lealtà, non facciamo fatica a riconoscere in noi i semi che avvelenano la nostra vita e i nostri rapporti con la vita e con gli altri. Non si tratta di moralismo a buon mercato, né di sensi di colpa, bensì della nostra verità che va accolta con umiltà e schiettezza per superare i nostri limiti e tirare fuori da noi la parte migliore. La parte che ama e che vuole amare. Anche la psicologia del profondo ci insegna che se non accettiamo i nostri limiti non supereremo mai le nostre frustrazioni o le nostre patologie.
I testi di questa domenica ci parlano dello straordinario sogno di Dio che, nonostante tutti i fallimenti della storia umana, non smette di pensare e di formare questa unità del genere umano al di là di tutte le divisioni e di tutti gli odi. Dio, infatti, non conosce lo scoraggiamento, sentimento ben noto a noi tutti che di fatto ci conduce direttamente allo scetticismo e all’insicurezza. Così, per tre volte quest’oggi la parola di Dio ci parla di un banchetto che Dio prepara per noi suoi figli. Il profeta Isaia (I lettura) descrive il banchetto meraviglioso preparato sul monte santo e a cui Dio invita «tutti i popoli». E non dimentichiamo che Isaia scrive questa lirica pagina di speranza nel momento in cui Gerusalemme è minacciata dall’invasore assiro che ha devastato tutti i suoi dintorni. Anche il Salmo 22, nella sua suggestiva eloquenza, dopo tutto ci parla di un incontro conviviale: Dio accoglie l’umanità nella sua tenda, e come l’ospite importante offre profumo per i capelli, mentre riempie fino all’orlo il bicchiere.
Sull’onda di questa grande speranza biblica, anche Gesù nel Vangelo descrive il ricco banchetto che Dio ha preparato per le nozze del suo Figlio che è Gesù stesso. Solo che nella parola di Gesù non c’è più la descrizione di questo banchetto progettato da Dio, come in Isaia e nel Salmo 22. Piuttosto, Gesù si sofferma sulla reazione degli invitati.
Ma la prima sorpresa è che questi invitati rifiutano l’invito a convertirsi, cioè a guardare bene dentro se stessi e a vivere per conseguenza finalmente come figli di Dio. In realtà, aspettavano da Dio un invito diverso: volevano la guerra santa, oppure diventare potenti e dominatori. Se il regno di Dio è questa conversione, allora loro voltano le spalle e preferiscono occuparsi dei loro affari. Certo, il rifiuto dei capi del popolo amareggia Dio, ma egli non rinunzia al suo progetto di salvezza e lo porta avanti in maniera diversa: invita al suo banchetto nuovi invitati, la gente semplice che crede in Gesù, i popoli pagani. Le comunità cristiane primitive, formate in prevalenza da ex pagani, ascoltavano con commozione questa parabola in cui vedevano il segreto della loro, ma anche della nostra, vocazione cristiana, frutto della grazia di Dio.
Tuttavia, Gesù conclude la parabola riservando un’ultima sorpresa: il re entra nella sala del banchetto e vedendo che un invitato non ha l’abito nuziale gli chiede invano perché l’abbia rifiutato. Subito dopo lo fa espellere. È un chiaro avvertimento: tutti noi non possiamo coltivare la falsa sicurezza di possedere una volta per tutte la misericordia di Dio. Non possiamo coltivare a lungo una pericolosa incoerenza tra fede e vita. Con l’immagine dell’abito nuziale Gesù vuole ricordare in tutti i tempi che aver accolto la fede non basta. Occorre l’amore con il quale, a qualsiasi prezzo, noi cresciamo ogni giorno nella vita di Dio.