La politica non salva l’uomo
Letture del 16 ottobre, 29ª domenica del tempo ordinario: «Ho preso Ciro per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni» (Is 45,1.4-6); «A te, Signore, la potenza e la gloria» (Salmo 95); «Mémori della vostra fede, della carità e della speranza» (1 Ts 1,1-5); «Rendete a Cesare quello che é di Cesare e a Dio quello che é di Dio» (Mt 22,15-21)
Ma per chi è diventato sensibile agli appelli profondi dell’uomo, non può essere così: la politica ha la sua importanza, ma allo stesso tempo viene relativizzata, perché fa appello a un al di là che non può essere confuso con qualsiasi paradiso terrestre. Questo sì è veramente un mito, un mito creato dal delirio di onnipotenza dell’uomo che ricorre spessissimo alla violenza pur di farlo esistere dentro e fuori di sé. Così la prima lettura, raccontando il ritorno in Palestina e la ricostruzione di Gerusalemme, dopo la tremenda deportazione del popolo ebraico e la schiavitù di Babilonia, operata cinquant’anni prima da Nabucodonosor (587 a.C.), ci offre per la prima volta nella Sacra Scrittura un’affermazione importante: quando l’autorità politica (non importa quali siano le sue convinzioni religiose) si mette al servizio dei popoli e agisce per la salvezza dei più deboli e indifesi, allora diventa davvero uno strumento di Dio.
Ma Gesù come si è posto di fronte alla politica? Il capitolo 22 del Vangelo di Matteo risponde al problema con il fatto che le autorità religiose sono ormai decise ad eliminare Gesù. Per questo gli pongono domande scottanti per provocarne la fine. In realtà, Gesù in quel momento è, per così dire, molto forte. Sta attirando le simpatie della gente e perfino il movimento degli zeloti, impegnato a scatenare la rivoluzione contro i romani. Soltanto che Gesù ha rifiutato fin dall’inizio della sua missione l’idea di un regno da realizzare con la violenza. Da qui anche la provocazione delle autorità religiose circa il tributo da pagare a Cesare, l’imperatore di Roma, e la conseguente risposta di Gesù, così profonda e disarmante: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Mt 22,21). Gesù riconosce, dunque, che esiste una società civile, un’autorità, comunque si chiami, mentre entrambe sono necessarie per provvedere alle esigenze del bene comune.
Il cristiano è invitato così ad assumersi le proprie responsabilità per la costruzione di una società migliore: nel quartiere, nella scuola, nella città, fino al vero e proprio impegno politico in senso stretto. Così hanno fatto un Giorgio La Pira, Dossetti, de Gasperi, per fermarci alla nostra storia recente. Ma anche qui, nella vita politica, c’è un limite invalicabile. L’esercizio dell’autorità può solo pretendere ciò che è necessario all’esistenza dello Stato, ma non può chiedere quello che appartiene solo a Dio. Anche la Chiesa non è un regno in mezzo agli altri e non impone una legislazione speciale. È parte integrante della società di cui si mette a servizio annunciando la preoccupazione essenziale di Gesù: l’annuncio del regno di Dio che non è di questo mondo, pur dovendosi realizzare in questo mondo, già fin d’ora. Senza sconti e senza nessuna evasione o fuga in una speranza aerea, disincarnata.
Gesù, in altre parole, pur riconoscendo l’utilità della politica, sa molto bene che non è questo l’intervento che salva l’uomo, poiché egli ha ascoltato il grido che sale dal cuore umano che cerca, al di là di tutto, l’unica felicità: essere amato da Dio. L’annuncio del regno diventa così un annuncio di salvezza perché invita l’uomo a liberarsi del male che porta dentro di sé e ad aprirsi a Dio. Da qui la grande commozione che san Paolo esprime nella Lettera ai Tessalonicesi (seconda lettura): «Noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti da lui» (1Tess 1,4). Eletti, dunque, ovvero cercati perché amati solo e soprattutto da Dio.