La vita del cristiano è attesa di Dio

Letture del 6 novembre, 32ª domenica del tempo ordinario: «La sapienza é trovata da chiunque la cerca» (Sap 6,12-16); «Ha sete di te, Signore, l’anima mia» (Salmo 62); «Quelli che sono morti, Dio li raduna per mezzo di Gesù insieme con lui» (1 Ts 4,13-18); «Ecco lo sposo, andategli incontro!» (Mt 25,1-13)

a cura della COMUNITA’ DI SAN LEOLINO Dopo averci messo in guardia dalla tentazione, nella fede, di coltivare le apparenze, i testi di questa domenica ci parlano del cristiano come uomo rinnovato dalla speranza, anche di fronte al dramma della morte. Essa non è più la fine di tutto, ma la vera crescita che è promessa a coloro che hanno compreso fino a che punto il Regno è una pienezza che viene a colmare le nostre aspirazioni più profonde.

Per questa ragione, i rapporti dei cristiani con la morte sono cambiati, ma sono cambiati specialmente i rapporti tra i cristiani e la vita. La vita del cristiano non è un lento addormentarsi nella pigrizia, nell’indifferenza o nel cinismo. È il sacrificio del lavoro e della sofferenza mischiato alla gioia di vivere sotto lo sguardo di Dio. Ecco perché la vita del cristiano è vigilanza, cioè attesa di Dio, gioia di sentirsi in compagnia dello Sposo, immensa speranza. Essere vigilanti, allora, significa pregare di non perdere «la sapienza di Dio», cioè la visione della vita che ci dà la fede (prima lettura)! Anche il salmista esprime questo anelito grande del cuore umano verso il suo Signore: «Ha sete di te, Signore, l’anima mia».

Ormai giunto alla vigilia della sua passione e morte, anche Gesù ci prepara a questo incontro finale di tutta la nostra vita di fede raccontando la splendida parabola delle dieci vergini, mentre la porta sbarrata della sala nel finale del racconto è la sintesi del destino di chi non ha capito l’urgenza e l’importanza di una decisione fondamentale: restare desti nell’attesa (G. Ravasi). In realtà, le vergini che attendono lo sposo siamo tutti noi e se il cristiano è il figlio della luce deve sempre rimanere sveglio, cioè resistere con tutte le sue forze alle tenebre, simbolo del male. Così, la vigilanza è lotta spietata contro le tentazioni quotidiane ed è l’apostolo Pietro a dirlo in maniera particolarmente espressiva: «Siate sobri, vigilate! Il vostro avversario, il diavolo, come un leone ruggente, si aggira cercando qualcuno da divorare» (1Pt 5,8). Anche l’apostolo Paolo concretizza bene questa vigilanza: «Fate con costanza, per mezzo dello Spirito, preghiere e suppliche» (Ef 6,18).

Di fatto, la vigilanza cristiana non è paura di Dio, né un aspettare passivo la sua venuta: consiste nel vivere con pienezza la propria vita, nutrita costantemente dalla preghiera che è la lampada accesa che portiamo in mano lungo tutto il nostro itinerario terreno. Così, la vigilanza mobilita le nostre energie migliori, ci rende attivi, nella Chiesa e nel mondo. Ma, ahimè, c’è un altro dato di fatto: diversi cristiani, come le vergini stolte, lasciano spegnere la loro fede! Influenzati dalla cultura dominante, si arrendono alla pigrizia, all’indifferenza verso tutto ciò che riguarda Dio, accontentandosi di una fede formale. Con la morte corporale, in ogni caso, ha inizio la grande festa nella casa del Padre. Coloro che entrano con Gesù, in una fede ancora ardente e viva, sono come le vergini sapienti.

Per coloro che invece hanno lasciato spegnere la loro fede, sarà un risveglio triste. Le parole di Gesù, a chi bussa in fatale ritardo alla porta della festa, sono durissime: «Non vi conosco». C’è, in altre parole, anche se oggi lo vogliamo dimenticare, un giudizio finale sulla nostra vita, quella nostra vita che ha la sua unica luce nella fede vera che veglia attuando sempre il bene nel buio di questo mondo.