Davanti al dolore la ragione non basta

Letture del 5 febbraio, 5ª domenica del Tempo ordinario: «Notti di dolore mi sono state assegnate» (Gb 7,1-4.6-7); «Risanaci, Signore, Dio della vita» (Salmo 146); «Guai a me, se non predicassi il vangelo!» (1 Cor 9,16-19.22-23); «Guarì molti che erano afflitti da varie malattie» (Mc 1,29-39)DI PAOLO RAZZAUTILe letture di questa domenica ci conducono a riflettere sulla sofferenza umana e sul suo rapporto con Dio. Quando la persona, nel mistero del proprio itinerario di vita, incontra l’esperienza della sofferenza si rivolge a Dio in diversi modi: invocazione, lamentazione, maledizione. La domanda sulla volontà di Dio nasce in tutti, anche nei non credenti, ed ha risvolti differenti in ciascuno. Credo che dinanzi alla sofferenza non ci sia necessità di dare una spiegazione razionale, perché in questa maniera saremo sempre a mani vuote e diverremo dei disperati; ma dinanzi alla sofferenza dobbiamo avere il coraggio di gridare «Abbà, Padre» e di amare ed abbracciare la sofferenza stessa. Qualunque essa sia fisica o spirituale.

Il Dio della vita e della consolazione risponde prendendoci per mano ed aiutandoci a scoprire i suoi disegni, aiutandoci a capire che quei momenti di sofferenza sono crescita e non oppressione. Il nostro Dio permette la sofferenza, ma ci dona anche i mezzi per poterla affrontare e combattere. Forse, spesso, prima di invocare la guarigione dalla sofferenza fisica, dovremmo avere il coraggio di chiedere la guarigione spirituale, perché soltanto un cuore libero e puro potrà affrontare i momenti oscuri della prova.

Anche Giobbe si fa prendere dallo scoraggiamento, quasi dalla sfiducia, quasi dalla non speranza. Si sente solo, abbandonato e si lascia andare. Anche nella sofferenza c’è bisogno di chi ci aiuti, ci sostenga, ci introduca alla presenza di Gesù. La suocera di Pietro viene presentata a Gesù dagli altri, come il paralitico che viene calato dal tetto: ambedue vengono risanati grazie alla fede degli altri. E’ il grande gesto della condivisione, della solidarietà, della capacità di accorgersi della sofferenza dell’altro e farsi mediatore verso il Signore.

La suocera di Pietro, un volta guarita si mette a servirli. Paolo, nella seconda lettura, ci ha detto che per lui è un dovere predicare il vangelo. Ecco l’atteggiamento di chi è guarito: essere capace di comprendere il dono del Signore e farne partecipi gli altri. Ma questo avviene anche per chi, guarito nel cuore e non nel corpo, comprende che la sua sofferenza deve divenire testimonianza per gli altri. Quanti ammalati hanno fatto del loro letto una grande cattedra di amore e di insegnamento!

L’importante è che ciascuno, nel momento della caduta nella sofferenza, sappia e sia aiutato a fare l’esperienza dell’amore misericordioso di Dio, dell’amore di un Dio che si china sui suoi per sollevarli e prenderli in braccio. Allora anche le ferite più profonde potranno essere risanate, potranno divenire sorgenti di una testimonianza di amore evangelico. Sarà così che il credente liberato da Cristo sentirà la necessità e l’urgenza di andare incontro agli altri per sostenerli e far scoprire anche a loro l’amore di Dio. Questa è la grande notizia che deve alimentare la nostra speranza, che deve risanare i cuori affranti, che deve aiutare gli afflitti a trovare la vera consolazione in Dio. Ed allora non dobbiamo temere di chiedere al Signore di guarirci, per fare esperienza del suo dono e per sentire l’urgenza di annunciarlo agli altri. È la testimonianza del Vangelo, è la testimonianza della Chiesa.