La Domenica delle Palme ci fa entrare nel cuore della fede

Letture del 9 aprile, Domenica delle Palme: «Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi, sapendo di non restare deluso» (Is 50,4-7); «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?» (Salmo 21); «Cristo umiliò se stesso, per questo Dio l’ha esaltato» (Fil 2,6-11); «La passione del Signore» (Mc 14,1-15,47)DI CARLO STANCARICon la domenica delle Palme inizia la settimana santa, la settimana maggiore dell’anno liturgico; il Triduo Pasquale ne è il cuore, e la veglia pasquale il vertice. Come entrarvi? Con l’attenzione della fede, cioè tenendo lo sguardo fisso su Gesù, per imparare da Lui come si ama, fin dove si ama, e come si muore, affidandoci totalmente alla fedeltà del Padre. II Crocifisso non è un soprammobile o un ninnolo di poco rilievo; nè possiamo usarlo per battaglie contro qualcuno. Dietro a quel «corpo dato» c’e l’Amore più grande e il mio, il nostro peccato. Soprattutto in questi giorni, partecipare ai «santi segni» sacramentali (Riconciliazione ed Eucaristia), è comunicare alla vita stessa di Dio. Vivifichiamo le tradizioni, inverandone il loro significato più autentico.

Nella liturgia odierna ascolteremo due brani del Vangelo di Marco: uno precede la processione e l’altro invece è il racconto della Passione (la comunità cristiana delle origini si e riunita intorno a questa narrazione). Nel primo testo si parla dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Vi entra con apparente solennità, ma assai poveramente: Egli è il Messia povero e mite descritto dai profeti; il suo regno non è di questo mondo. Ma la gente non sembra capirlo: gli entusiasti, quelli che sperano di aver trovato chi risolva i loro problemi, alla prima occasione grideranno per la sua condanna a morte.

II dramma della Passione è stato annunciato dal profeta Isaia in termini duri (prima lettura). Ma la passione del Cristo non è la messa in opera di uno scenario scritto precedentemente, nè lo svolgimento implacabile di una sofferenza programmata. L’evangelista Giovanni introduce il racconto della Passione così «Gesù avendo amato i suoi che erano nel mondo, li ama sino alla fine» (Gv 13,1). Ecco indicato il senso degli avvenimenti che celebriamo in questa settimana. Noi celebriamo l’amore perfetto: «Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (cfr. Gv 15,13). E’ per fedeltà a questo messaggio d’amore integrale e senza limiti, che egli muore in croce. E’ per questo che, dice S. Paolo, «Dio lo ha innalzato al di sopra di tutto» (seconda lettura). Nella narrazione della Passione secondo Marco, oltre al silenzio di Dio e alla fiducia del divino condannato, notiamo l’abbandono della sua comunità (la croce è sempre anche svelamento della qualità del rapporto reale che si ha con Gesù) e l’iniziale, inaspettata, personale adesione di alcuni a Lui, unica via di salvezza (la donna di Betania che profuma il corpo di Gesù; Simone di Cirene che aiuta a portare la croce; il centurione che confessa il figlio di Dio, il crocifisso; Giuseppe d’Arimatea, che riceve il corpo di Gesù).Con l’ulivo benedetto porteremo nelle nostre case il segno della nostra accoglienza di Gesù; ma siamo disposti a seguirlo sulla sua via? In molte parrocchie si fa anche una piccola processione: siamo una comunità che ha al centro questo Signore? Siamo una comunità che porta nei fatti (cioè con scelte criteriate dal Vangelo) la pace o che la predica soltanto?

Dunque, lungo questa settimana che giustamente chiamiamo «santa», non esitiamo a portare il nostro sguardo d’amore su Gesù in croce. La croce non è l’elogio della sofferenza per la sofferenza, ma il luogo dove Gesù ha convertito la sofferenza in capacità di amore. Siamo avvertiti: il discepolo è uno che preferisce morte che dare la morte. Che comportamento vogliamo tenere lungo la via crucis dei tanti «maledetti» della nostra storia contemporanea? E fidiamoci di Dio, amante della vita. Allora è gia Pasqua, anche se nel mistero.