Comandò di non dirlo a nessuno

Lettura del 10 settembre, Domenica XXIII del Tempo ordinario B: «Si apriranno gli occhi ai ciechi» ( Is 35, 4-7; «Dio non ha forse scelto i poveri?» (Gc 2, 1-5); «E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano» ( Mc 7, 31-37).

DI BERNARDINO BORDOSe volessimo cercare una delle coordinate più in vista delle Letture di questa Domenica di settembre, potremmo fermarci su quella della discretezza, prudenza e umiltà che accompagnò non solo questi momenti qualificati dell’attività taumaturgica del Salvatore, ma anche quelli dell’annunzio evangelico. Isaia ci mette già sul tracciato delle capacità sovrane con cui Dio può ribaltare situazioni incresciose di ogni genere: da quelle che colpiscono la vita personale a quelle che coinvolgono l’ambiente dove si svolge. Da cui il richiamo confortante: «Coraggio! Non temete» (prima lettura). La Lettera di Giacomo offre qualcos’altro, che ha tratto da una riflessione profonda, dietro esempi innumerevoli ricevuti direttamente dal divino Maestro: che Dio, cioè, ha fatto una scelta paradossale: quella dei poveri nel mondo, per farli ricchi con la fede ed eredi de regno (seconda lettura).

Anche questa volta troviamo in Marco l’artista dei bozzetti evangelici scolpiti con ammirevole concisione ed esattezza. Quel portare il sordomuto da parte, quel toccare con le proprie dita le orecchie dell’infelice,quel ricavare dalla propria lingua un po’ di saliva, per poi spalmarla delicatamente su quella di lui, dopo di che l’ esclamazione originale in aramaico Effatà: tutto ci giunge con un tocco di vivacità che, mentre commuove per la finezza di tatto di Gesù, ci trasferisce in uno dei momenti più significativi della storia della Salvezza.

Potrebbero sfuggirci, davanti a tanta ricchezza di dettagli veloci, le motivazioni del silenzio che, anche questa volta, come in altre occasioni consimili, il Signore impone al miracolato, anche lui pronto a disubbidire, nell’esultanza di un favore creduto impossibile fino ad un istante prima. Anzi si aveva l’impressione, a sentire Marco, che più il benefattore insisteva nel chiedere il silenzio e più volentieri i beneficati disattendevano la sua raccomandazione.

Gli esegeti sanno che miracoli di quel genere non si erano mai verificati né in Giudea, né in nessun altra parte del mondo allora conosciuto. Anzi. Si sapeva, dai più assidue alle letture bibliche della sinagoga che gli stessi uomini, servi di Yahvè, come Mosè, Elia, il Battista, tutti avevano invocato l’intervento di Dio, attraverso una gestualità, una mantica che creasse un certo clima. Col rabbi di Nazareth niente di tutto questo. Come insegnava in nome proprio, così operava prodigi, facendo leva unicamente sulla sua potenza personale. Talvolta aveva spiegato: La tua fede ti ha salvato. Ma la fede in chi? In lui, naturalmente. Siccome tutto questo, il popolo, anche se non riusciva ancora a comprenderlo nel senso che lui era il vero Figlio di Dio, uguale al Padre, arrivava almeno ad intuire che si trattava dei segni rivelatori dell’epoca messianica. Dunque egli era il Messia! Ora questa convinzione era stata caricata, a quei tempi, di contenuti nazionalistici, che esulavano totalmente dalla missione salvifica, affidata a lui dal Padre. Per questo motivo, non tollerava contaminazioni del genere e imponeva il silenzio più assoluto. Se ciò non giovava, si allontanava immediatamente.Sapremo che non gioverà. I capi del sinedrio lo accuseranno proprio di questo messianismo politicizzato da loro stessi, per ottenere dal procuratore romano Ponzio Pilato la sua condanna a morte.

Esattamente come previsto nel piano misterioso del Padre che voleva la salvezza dei figli degli uomini, mediante la morte del Figlio suo Unigenito.