L’ipocrisia dei ricchi e la generosità dei poveri

Letture del 12 novembre, 32ª Domenica del Tempo ordinario, B: «Prendimi un po’ d’acqua» (1Re, 17, 10-16); «Nella pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato» (Eb 9, 24-28); «Guardatevi dagli scribi» (Mc 12, 38-44).

DI BERNARDINO BORDOLe letture di questa seconda domenica di novembre ruotano attorno a due perni: l’impegno nostro di tenersi lontani da ogni forma di finzione nella propria condotta morale e la misteriosa preferenza di Dio verso la povertà e l’autenticità evangelica.

L’orizzonte si apre sul litorale della Fenicia, dove una povera vedova pagana accoglie premurosamente il profeta Elia (prima lettura), per allungare a Gerusalemme, dove un’altra vedova commuove Gesù col gettare «due spiccioli (tutto il suo avere!) nel tesoro» del tempio (terza lettura). In mezzo, la figura del nuovo sommo sacerdote, Cristo, sensibile più per la semplicità e povertà, che per il paludamento sontuoso del culto, perché «apparso per annullare il peccato, mediante il sacrificio di se stesso» (seconda lettura).

Anche in questa celebrazione eucaristica ciò che attrae maggiormente il fedele è la pericope marciana, con la sua stridente contrapposizione fra l’ipocrisia dei signori della Legge e la generosità senza pose di due povere donne. Per cogliere il senso esatto delle rampogne, partite da un Maestro tanto comprensivo anche verso i peccatori più riprovevoli, è necessario ricordare che la categoria degli scribi, qui chiamati in causa, non era, come si pensa, di origine ebraica. Tutta la civiltà mesopotamica ed egiziana di alcuni millenni prima di Cristo poggiava su di essa. In Israele gli scribi apparvero solo dopo l’esilio babilonese; ma fecero presto a porsi di fronte all’aristocrazia sacerdotale, superandola nella considerazione, da parte delle masse. La conoscenza della Torah, essenziale alla vita religiosa giudaica, era nelle loro mani, traendone non solo prestigio, ma anche cospicue risorse economiche.

Gesù riconobbe in essi i responsabili del traviamento del popolo, l’esteriorismo della morale, il taglio legalistico dell’insegnamento, la mancanza di vero spirito vivificatore nell’esporre la Parola di Dio. Non calcò eccessivamente la mano: riconobbe il loro diritto ad insegnare, anche se non toccavano con un dito i pesi che mettevano sulle spalle altrui. Alcuni di essi li troviamo fra i suoi ammiratori; qualcuno, come Nicodemo, fra i suoi seguaci. Ma la loro ipocrisia, cioè il culto della maschera, falsava l’opera del Padre suo: non poteva tollerarla. Perdonava le colpe più gravi, anche l’adulterio, anche il brigantaggio (il ladro in croce); quella colpa, no. Da lì derivavano le lunghe vesti pompose, i posti d’onore nella sinagoga e i primi posti nei banchetti, i saluti nelle piazze, soprattutto la sfacciataggine di estorcere denaro con la promessa di lunghe preghiere.

Questa intransigenza, tanto più significativa in Gesù, che, ripetiamolo, si è mostrato sempre tanto disponibile in tutto, comprensivo fino all’inverosimile, ci richiama all’impegno per una religiosità evangelica genuina, fatta di opere e non di chiacchiere, di scelte preferenziali che non si posizionino al centro dell’attenzione, alla ricerca di consensi. Probabilmente, quella vedova del gazofilacio di Gerusalemme, se si fosse accorta che Gesù la stava osservando, non vi avrebbe gettato neppure quei «due spiccioli». Ed è questa disposizione d’animo che commosse il Salvatore, fino a richiamare su di lei l’attenzione dei discepoli: quel gesto rappresentava l’opposto dell’esteriorismo ipocrita dei signori della Legge e l’essenza della morale evangelica.