L’incertezza dell’«ora»

Letture del 19 novembre, 33ª domenica del Tempo ordinario, B: «Vi sarà un tempo d’angoscia, come non c’era mai stato» (Dn 12, 1-3); «Aspetta ormai solo che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi» (Eb 10, 11-14.18). «Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre» ( Mc 13, 24-32).

DI BERNARDINO BORDOIniziano i brani biblici dell’apocalittica intertestamentaria, che il progetto liturgico predispone per l’imminente chiusura del suo ciclo annuale. Il primo è quello di Daniele, che, superata la concezione immanentistica del suo popolo, intravede un risveglio dalla polvere «alla vita eterna» o alla «vergogna eterna» (prima lettura). S’iscrive fra i rari, incerti accenni del profetismo ebraico alla vita eterna, del tutto al di fuori dell’antico pensiero giudaico. Nella Lettera agli ebrei Cristo è già «assiso alla destra di Dio», in attesa che la conclusione della storia umana evidenzi gli effetti della salvezza, ottenuta con l’unico e irrepetibile sacrificio di se stesso (seconda lettura). Il capolinea della storia umana, è, pertanto, davanti al trono di Colui che si è immolato per tutti.Quando accadrà un evento così grandioso che rappresenta contestualmente il finale di un dramma affrontato fra Dio e «i suoi nemici», fra il bene e il male? Nessuno lo conosce, «neanche gli angeli nel cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre» (terza lettura).

Anche questa volta Marco è in grado di sorprenderci e riservarci una lezione di somma importanza. Anzitutto perché, essendo stato il primo a cimentarsi con la trasmissione al tempo della Chiesa del famoso discorso escatologico di Gesù, proclamato davanti ai tre gruppi dei suoi collaboratori, non poteva precisare più da vicino certi dettagli, già di per sé intraducibili. Sapeva chiaramente che il divino Maestro si era espresso a quel modo, sui costoni del monte Oliveto, non con gli intenti dell’apocalittica tardo giudaica, preoccupata di soddisfare esigenze di curiosità magico – nazionalistica del suo tempo, ma per allertare i suoi discepoli sulla caducità e provvisorietà di tutto questo mondo che, come lui stesso aveva osservato con viva preoccupazione, attraendo esageratamente l’attenzione degli uomini sui beni transitori della vita, li portava a trascurare quelli eterni. Vi aveva impegnato alcune delle sue parabole più espressive; ma senza un risultato soddisfacente. Tutto passa, tutto è nulla. Solo Dio con il suo regno di giustizia e di pace resta in eterno, in grado di soddisfare ogni esigenza del cuore e dello spirito.

Il tempo non entra come costitutivo interno della realtà. Che la fine di questo ordine di cose, la palingenesi, avvenga fra un miliardo di secoli o subito oggi, è perfettamente uguale. L’importante è l’adesione al progetto di salvezza e santificazione che il Padre ci ha offerto attraverso il Figlio. Appunto nell’annuncio affidato al Figlio non rientrava la rivelazione di «quel giorno, di quell’ora», perché non si tratta di problema cronologico, ma di sequela consapevole, a pieno ritmo, in grado di «perseverare sino alla fine». Le parole di Cristo, su cui si fondano speranza e impegno, per noi suoi seguaci, «non passeranno». Passeranno solo «il cielo e la terra», che potrebbero sempre attrarre eccessivamente la nostra attenzione, da farci dimenticare che siamo in cammino verso «cieli nuovi e terra nuova» (2Pt 3, 13).