La sola gioia cristiana è sapersi perdonati

Letture del 18 marzo, quarta domenica di Quaresima: «Il popolo di Dio, entrato nella terra promessa, celebra la Pasqua» (Gs 5,9.10-12); «Il Signore è vicino a chi lo cerca» (Salmo 33); «Dio ci ha riconciliato a sè, in Cristo» (2 Cor 5,17-21); «Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita» (Lc 15,1-3.11-32)

DI BRUNO FREDIANICon le parabole della misericordia Gesù vuole farci toccare con mano la miseria del peccatore, ma, ancora di più, vuole mostrarci il volto di Dio: quello di un padre infinitamente misericordioso che si preoccupa solo di perdonare e di accogliere.

La redenzione, voluta dal Padre e operata da Gesù col sacrificio della propria vita, non è per i giusti, ma per quelli che si sono perduti. Non sono i sani ad aver bisogno del medico, ma i malati.

Per i primi cristiani il Vangelo era veramente una buona novella: Dio perdonava gratuitamente i peccati! Ci si rallegrava, si rendeva pubblica, si festeggiava la propria conversione e il racconto del perdono dei propri peccati, e l’assemblea eucaristica diventava proprio una grande festa.

Queste abitudini, purtroppo,non fanno più parte della vita delle nostre comunità. Abbiamo ridotto la riconciliazione a un fatto privato tra penitente e confessore. Ma, ancora più grave è il fatto che, per noi, oggi, il Vangelo non sembra più una nuova novella, anzi accettiamo con stupore il messaggio che siamo peccatori e che abbiamo bisogno di perdono. Solo per docilità e per obbedienza accettiamo di considerarci un po’ peccatori, e, sempre per docilità e obbedienza, ci sottoponiamo al sacramento della riconciliazione e del perdono.

Come sarebbe più significativo se tutti i partecipanti alla messa domenicale si riconoscessero veramente peccatori ed esprimessero le meraviglie del perdono e dell’accoglienza di Dio!

La sola gioia cristiana è di sapersi perdonati, il solo stupore è di scoprire Dio come Padre buono e accogliente.Il cristiano non è contento di se stesso, ma di Dio, entusiasta del nostro salvatore, abbagliato dal suo perdono.

Nella vita eterna, non passeremo il nostro tempo a vantarci delle nostre virtù e delle nostre prodezze apostoliche, ma a raccontare i nostri pentimenti e i tanti perdoni che abbiamo ricevuto. Sarà così che celebreremo la gloria del Signore, nel ringraziamento e nella lode. Lassù non ci sarà troppo gravoso confessarci in una cerimonia così pubblica.

Dobbiamo stare attenti a non abusare di una tenerezza così grande, così profonda. Valido criterio di valutazione della sincerità del nostro pentimento e della nostra riconoscenza, è il nostro modo di comportarci di fronte a chi ha sbagliato, la capacità di perdonare e di accogliere con una generosità che assomigli un po’ a quella di Dio.

Il fratello più grande è sempre stato col padre, ma questa vicinanza fisica non gli ha insegnato niente: ha goduto dei beni materiali del padre, ma non ha acquisito i suoi atteggiamenti più profondi e ricchi che manifestano la sua vera identità.

La comunità cristiana è luogo dell’accoglienza e del perdono, perché in essa si sperimenta continuamente l’ amore e la tenerezza del Padre. Eppure quante esclusioni, quante condanne, quante persone lasciate ai margini perché ritenute indegne, colpevoli, traditrici: preti che hanno lasciato il ministero, sposi divorziati e risposati, persone che hanno tendenze ed attuano comportamenti sessuali non in linea con la morale cattolica, tossicodipendenti, prostitute, criminali… Il Padre sta in ansia ed è sempre in attesa del figlio; al suo ritorno non gli chiede nulla e si preoccupa solo di preparare la festa… E noi?… e le nostre comunità?